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    Minacce a imprenditore che denunciò boss, 7 arresti della Questura di Catanzaro

     

     

    Minacce a imprenditore che denunciò boss, 7 arresti della Mobile di Catanzaro tra Vibo e Reggio

    25 ott 13 La Polizia di Stato di Catanzaro ha arrestato 7 persone residenti nelle province di Vibo Valentia e Reggio Calabria. In seguito alle indagini, condotte dalla dalla squadra mobile e coordinate dalla Dda catanzarese, gli indagati sono accusati, a vario titolo, di tentata estorsione, rapina e lesioni, tutti aggravati dalla metodologia mafiosa, a carico di un imprenditore di Vibo Valentia. Alcuni arrestati, inoltre, sono accusati di aver anche costretto un collaboratore di giustizia che aveva fatto condannare esponenti di spicco della cosca Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia) a ritrattare le accuse in una fase successiva del processo.

    Infatti alcune delle persone arrestate avrebbero minacciato il testimone di giustizia Vincenzo Ceravolo per costringerlo a ritrattare le sue accuse contro un boss della cosca Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia). Ceravolo, imprenditore vibonese leader nell'export del tonno fresco del Mediterraneo, è sotto protezione dal 28 maggio del 2003 dopo che denunciò un boss della cosca Mancuso che, insieme ad un suo affiliato, fu processato e condannato per estorsione aggravata dalle modalità mafiose. La condanna fu confermata in appello nel 2004 ma poi la Cassazione, per una questione tecnica, annullò la sentenza disponendo un nuovo processo che però non è stato ancora celebrato. E proprio in questo periodo si sarebbero verificate le minacce e le intimidazioni. L'imprenditore, nel corso degli anni, ha denunciato di avere subito danneggiamenti per circa 20 milioni di euro. Nel corso dell'inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro Giuseppe Borrelli e dai pm Simona Rossi e Carlo Villani, gli investigatori della squadra mobile hanno anche portato alla luce un tentativo di estorsione ai danni di un altro imprenditore del vibonese evidenziando un legame tra personaggi legati alla criminalità di Gioia Tauro (Reggio Calabria) e quelli di Vibo.

    La denuncia. E' stata una nuova denuncia del testimone di giustizia Vincenzo Ceravolo a fare scattare le indagini della squadra mobile di Catanzaro, coordinate dalla Dda, che stamani hanno portato al fermo di cinque persone, mentre altre due risultano irreperibili per tentata estorsione, rapina e lesioni, tutti aggravati dalla metodologia mafiosa, a carico di un imprenditore di Vibo Valentia. Ceravolo, nel febbraio scorso, si è presentato al dirigente della squadra mobile di Catanzaro Rodolfo Ruperti, che già nel 2001 aveva raccolto le dichiarazioni accusatorie dell'imprenditore quando dirigeva la mobile vibonese. Accuse che avevano portato alla condanna, in primo e secondo grado, del boss di Limbadi (Vibo Valentia) Pantaleone Mancuso, detto ''luni scarpuni'', e di un suo affiliato, Nazzareno Colace. Ceravolo ha riferito che la Cassazione, nel 2009, aveva annullato la sentenza d'appello emessa lo stesso anno disponendo un nuovo processo che però non è ancora iniziato. Nelle more, ha detto l'imprenditore, il fratello è stato avvicinato da un soggetto che, a nome di Mancuso, gli ha detto ''tu ritratta e torniamo tutti amici''. Gli investigatori sono risaliti alla persona in questione come a Raffaele Fiumara detto ''Lello'', indicato come il referente dei Mancuso per le zone di Filadelfia e Pizzo. Dalle intercettazioni telefoniche è venuta la conferma delle accuse. Dagli stessi accertamenti è emerso anche un tentativo di estorsione ai danni di un altro imprenditore da parte dello stesso Fiumara e delle altre sette persone per le quali la Dda ha emesso il provvedimento di fermo.

    Gli arresti. Eugenio Gentiluomo (59); Rocco De Maio (43), Domenico Pardea (46), Massimo Patamia (43), Carlo Riso (35) e Antonio Vacatello (49). Riso e Vacatello risultano irreperibili. I sette, secondo l'accusa, avrebbero preteso la restituzione di somme di denaro anticipate alla vittima per il rilascio di certificati necessari all'abilitazione all'imbarco ai quali avevano poi rinunciato.

    PM: Un fallimento la mancata celebrazione dei processi. La mancata celebrazione dei processi ''determina il fallimento della politica giudiziaria''. A dirlo è stato il procuratore aggiunto della Repubblica di Catanzaro Giuseppe Borrelli incontrando i giornalisti per illustrare l'operazione condotta nel vibonese dalla squadra mobile di Catanzaro. L'inchiesta, coordinata dallo stesso Borrelli insieme ai pm Simona Rossi e Carlo Villani, infatti, ha portato alla luce le minacce e le intimidazioni subite da un imprenditore, Vincenzo Ceravolo, che nel 2001 aveva denunciato per estorsione un boss della cosca Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia) ed un suo affiliato. La condanna d'appello è stata annullata dalla Cassazione nel 2009 ma il nuovo processo non è ancora iniziato. La mancata celebrazione del processo, ha aggiunto Borrelli, è colpa ''dei carichi di lavoro, della situazione complessiva nella gestione dei ruoli del dibattimento. Non è addebitabile a singoli operatori a Catanzaro ma evidenzia l'insufficienza degli organici nella gestione dell'arretrato. A Vibo Valentia gli organici sono tali che il presidente del Tribunale ha disposto di celebrare per primo i processi con detenuti visto che entro la fine dell'anno quasi tutti i giudici se ne andranno e dovranno essere sostituiti nei dibattimenti. Non fare i processi influisce anche sulle indagini, perché un testimone od un collaboratore non può essere gestito per 12 anni. La credibilità di un collaboratore non viene mai sancita e questo influisce anche sull'esito dei processi''. Borrelli ha anche sottolineato ''la bontà della strategia messa in campo dal procuratore Vincenzo Antonio Lombardo, di privilegiare i reati associativi anche per colpire i reati fine. Ciò ha fatto sì che nel periodo 2009-2014, nel vibonese ci sia stato un numero decisamente superiore di arresti per 416 bis rispetto ai 25 anni precedenti. L'unica eccezione è stata l'inchiesta Dinasty contro la cosca Mancuso''. Lombardo, dal canto suo, ha rimarcato come la lentezza dei processi comporti ''una distorsione: la lunghezza della carcerazione preventiva''. Il procuratore ha poi sottolineato la rapidità dell'azione della squadra mobile di Catanzaro e della Dda di sventare un'estorsione in corso. Il questore Guido Marino, dopo avere ricordato le tappe della vicenda giudiziaria innescata dal testimone di giustizia ha detto: ''è una vicenda che si commenta da sola''. Il capo della squadra mobile catanzarese Rodolfo Ruperti, che nel 2001 dirigeva la mobile di Vibo, non ha potuto non rilevare la sorpresa vedendosi davanti l'imprenditore tornare a raccontare fatti legati ancora alla vicenda di 12 anni fa.

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