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    Arresti cosca LoGiudice, ruolo dei pentiti, catturati alti gradi mafiosi

     

     

    Arresti cosca LoGiudice, ruolo dei pentiti, catturati alti gradi mafiosi

    19 apr 11 ''Gli arresti ed i fermi della scorsa notte di cui sono destinatari alcuni componenti del clan Lo Giudice confermano l'attendibilità dei nuovo collaboratori di giustizia". Così ha esordito il questore di Reggio Calabria, Carmelo Casabona, nel corso di una conferenza stampa convocata per spiegare i particolari dell'operazione scattata la scorsa notte, con altri arresti e fermi nel clan Lo Giudice, squassato dal ciclone pentiti. L'opinione del Questore è stata ribadita dal procuratore capo della direzione distrettuale antimafia, Giuseppe Pignatone, secondo il quale "Antonino Lo Giudice e Consolato Villani, in particolare, stanno producendo testimonianze con risultati e riscontri assolutamente positivi ai fini del contrasto alla 'ndrangheta. Tra i fermati, oltre agli arrestati ci sono i cognati di Antonino Lo Giudice, Giuseppe Reliquato e Bruno Stilo, che ricoprono i gradi mafiosi di 'vangelò e 'santa', autentici consiglieri del collaboratore di giustizia. Quanto fosse importante il loro ruolo nella gerarchia della cosca Lo Giudice - ha aggiunto Pignatone - è confermato da un episodio, allorché il capo cosca Giovanni Fontana, uno dei boss storici dei clan degli 'Arcoti', chiede al Lo Giudice di dare una 'lezione' al direttore della 'Leonia', l'ing. De Caria, una società mista incaricata di smaltire il ciclo dei rifiuti solidi urbani nel comune di Reggio Calabria. Ebbene, la richiesta viene rigettata da Antonino Lo Giudice, supportato da Reliquato e da Stilo". Tra i fermati, anche Fortunato 'Natino' Pennestrì, 35 anni, uno dei nipoti di Antonino Lo Giudice, 'insignito' del grado ndranghetistico di 'sgarrista', che aveva il compito di portare fuori dal carcere le 'ambasciate' dei capi al resto della consorteria. Fortunato Lo Giudice, secondo gli inquirenti, "legato visceralmente allo zio Antonino", in un'occasione aveva un atteggiamento di sfida "persino con il clan Rosmini in relazione ad una vicenda di concorrenza commerciale". Per il capo della squadra mobile, Renato Cortese ed il funzionario della quinta sezione, Francesco Giordano, il 'giro' di approvvigionamento delle armi della cosca Lo Giudice è chiaro: le acquistavano lecitamente presso le armerie 'Romolo' e 'Caminiti', salvo poi denunciarne il furto. Secondo quanto reso noto in conferenza stampa, quelle armi, dopo le denunce di furto, sono state rinvenute nelle stesse armerie e sequestrate.

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