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    Arrestati gli autori delle bombe a Reggio. Due le inchieste della DDA

     

     

    Arrestati gli autori delle bombe a Reggio. Due le inchieste della DDA

    15 apr 11 Quattro persone sono state arrestate questa mattina dalla Squadra mobile di Reggio Calabria e dallo Sco per le bombe messe in Procura lo socrso 3 gennaio. Si tratta del pentito Antonino Lo Giudice, di 52 anni; del fratello Luciano, di 37 e di Antonio Cortese, 48 anni, tutti già detenuti, e Vincenzo Puntorieri, 30 anni di Reggio Calabria considerato legato a Antonio Cortese. L’esecuzione di uno dei provvedimenti è stata eseguita del comando provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria. Secondo l’accusa furono proprio Puntorieri e Cortese a piazzare materialmente l’ordigno esploso il 3 gennaio davanti alla Procura generale reggina, e quello del 26 agosto contro l’abitazione del procuratore generale Salvatore Di Landro. L'ordinanza eseguita è stata emessa dal gip di Catanzaro su richiesta del procuratore distrettuale, Vincenzo Lombardo, e dal pm Salvatore Curcio. I quattro, sono accusati degli attentati compiuti lo scorso anno contro il procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro e contro il procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone. L'operazione di questa mattina scaturisce dalle rivelazioni del boss pentito Nino Lo Giudice, il quale pochi giorni dopo l’arresto lo scorso anno da parte della Squadra mobile di Reggio Calabria, si è autoaccusato della progettazione dell’ideazione rivelando i nomi degli affiliati alla sua cosca incaricati dell’esecuzione, tra i quali quello del fratello Luciano. Le intimidazioni sono tre; la prima messa in atto il 3 gennaio contro la sede della Procura Generale di Reggio Calabria, diretta da Salvatore Di Landro, con una bomba fatta esplodere davanti al portone. Il secondo attentato risale al 26 agosto e fu compiuto contro l’abitazione di Di Landro. Anche in questo caso di fronte alla casa fu collocato un ordigno. L’ultima intimidazione risale al 5 ottobre, giorno in cui fu collocato un bazooka davanti agli uffici del Dda, diretta dal Procuratore Giuseppe Pignatone. Inoltre secondo quanto emerso dalle indagini, la strategia degli attentati e delle intimidazioni della 'ndrangheta nei confronti dei magistrati reggini, secondo quanto emerge dalle indagini, rientrava in un preciso piano del boss Antonino Lo Giudice, il quale avrebbe tentato di intercedere su due appartenenti al corpo giudiziario in favore del fratello Luciano arrestato tempo prima. Dopo aver ottenuto un netto rifiuto, il capo dell’omonima consorteria avrebbe ideato e messo in atto i due attentati e l’intimidazione, con il ritrovamento del bazooka, nei confronti del Procuratore Giuseppe Pignatone.

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    Due le inchieste della DDA. Sono due le inchieste coordinate dalla Dda di Catanzaro sugli attentati compiuti lo scorso anno ai danni di magistrati di Reggio Calabria, oltre a quella che stamani ha portato all’arresto del boss pentito Antonino Lo Giudice e di altre tre persone. L'altra inchiesta, nel settembre dello scorso anno portò all’emissione di quattro avvisi di garanzia nei confronti di altrettanti presunti esponenti della cosca Serraino di Reggio Calabria. L’inchiesta era giunta a quel punto prima che Lo Giudice si pentisse autoaccusandosi degli attentati, dando il via alla seconda indagine. In quel caso, i magistrati catanzaresi ipotizzavano che gli attentati alla procura generale ed all’abitazione del procuratore generale Salvatore Di Landro fossero una reazione dei Serraino alla revoca dell’ex sostituto procuratore generale di Reggio Calabria Francesco Neri come rappresentante della pubblica accusa nel processo d’appello per l’omicidio della guardia giurata Luigi Rende. Processo che, secondo l’accusa, interessava alla cosca. Di Landro contestò a Neri di avere avuto come difensore in procedimenti disciplinari a suo carico, lo stesso avvocato che assisteva uno degli imputati per l'omicidio di Rende. Per questo motivo il magistrato fu sostituito nel processo che si concluse con la conferma dei cinque ergastoli comminati in primo grado. Dai contrasti e dalle contestazioni fatte da Di Landro a Neri scaturì, nel marzo 2010, l’apertura nei confronti di Neri della procedura di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale da parte del Csm. Il procedimento si è concluso con l'adozione di una misura cautelare con il trasferimento del magistrato ad altra sede ed altre funzioni. Neri ha assunto successivamente la carica di consigliere della Corte d’appello di Roma. Neri, che non è stato indagato, ha sempre escluso di avere avuto contrasti con Di Landro, sostenendo di essere rimasto coinvolto "in una situazione in cui mi ritengo assolutamente incolpevole. Sono stato io – disse Neri all’epoca – a concordare con Di Landro la mia sostituzione nel processo e non ho mai adottato comportamenti favorevoli alla cosca Serraino".

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