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    Estorsioni e danneggiamenti, 9 arresti nel reggino

     

     

    Da 15 anni estorsioni e danneggiamenti, 9 arresti nel reggino

    03 mag 10 Operazione dei carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria,questa mattina a Giffone nel reggino, per l’esecuzione di nove ordinanze di custodia cautelare contro altrettante persone, tra cui una donna, accusate di avere attuato una serie di estorsioni e danneggiamenti con l’aggravante delle modalità mafiose. Gli arresti vengono fatti in esecuzione di ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse su richiesta della Dda di Reggio Calabria. Dalle indagini svolte dai carabinieri è emersa l’esistenza a Giffone di un’organizzazione criminale che per 15 anni, dal 1994 agli inizi del 2009, avrebbe sottoposto ad estorsione i titolari di numerose imprese che si erano aggiudicati appalti per l'esecuzione di lavori pubblici. Tra le aziende prese di mira dell’organizzazione di estorsori anche quelle incaricate di realizzare la rete per la distribuzione del metano e quella titolare dell’appalto per la costruzione della scuola media e del campo sportivo, costrette a versare ingenti somme di denaro per proseguire i lavori. Ai danni dei titolari delle imprese, al fine di rendere più "convincenti" le richieste estorsive, sono stati commessi numerosi danneggiamenti. Gli elementi di prova raccolti hanno consentito di attribuire, ad ognuno degli indagati, precise responsabilità in ordine ai reati contestati.

    Imprenditori hanno collaborato. Due degli imprenditori che negli ultimi tempi erano vittime delle estorsioni a Giffone hanno deciso di collaborare con i magistrati della Dda di Reggio Calabria, ponendo fine cosi' a un meccanismo criminale che si trascinava dal 1994. Il dato è stato sottolineato dal Procuratore della Repubblica aggiunto di Reggio Calabria, Michele Prestipino, incontrando i giornalisti per illustrare i particolari dell'operazione che ha portato all'arresto di otto persone in esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse su richiesta della Dda reggina. Gli imprenditori sottoposti a estorsione hanno effettuato lavori soprattutto nel settore boschivo ed edile a Giffone e in altri due centri del Reggino, Mammola e Cinquefrondi. "Quella effettuata dai carabinieri - ha detto Prestipino - é un'operazione importante, perché libera il territorio da una forte pressione estorsiva nei confronti di diversi imprenditori che costituiscono il mercato delle imprese della zona. La pressione era arrivata a un punto tale che alcuni degli imprenditori hanno ammesso di essere sottoposti a estorsione e hanno collaborato". Le dichiarazioni degli imprenditori hanno trovato riscontro nelle intercettazioni dei colloqui in carcere tra Francesco Larosa e alcuni appartenenti al suo gruppo criminale, che andavano a riferirgli i risultati delle attività estorsive. "Grazie alla combinazione tra intercettazioni ambientali in carcere e dichiarazioni degli imprenditori taglieggiati - ha detto ancora Prestipino - è stato possibile raccogliere elementi di prova significativi e importanti". Secondo Prestipino "l'elemento significativo dell'inchiesta é stata la collaborazione dei due imprenditori calabresi che facevano parte del gruppo che subiva le estorsioni. I due imprenditori hanno fornito importanti indicazioni, scegliendo così di stare dalla parte dello Stato".

    Riti di affiliazione. E' stato sequestrato anche un rituale di affiliazione alla 'ndrangheta, nel corso delle indagini che hanno portato all'operazione condotta la scorsa notte dai carabinieri contro una banda di estorsori che per 15 anni, dal 1994 al 2009, ha imposto il pizzo ad alcune imprese impegnate nella realizzazione di lavori pubblici a Giffone. Il rituale era in possesso di una delle persone indagate nell'inchiesta condotta dalla Dda di Reggio Calabria. I carabinieri hanno eseguito otto delle nove ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip di Reggio Calabria. I provvedimenti eseguiti sono quelli nei confronti di Francesco, Ferdinando e Graziano La Rosa, di 59, 28 e 29 anni; di due omonimi, Giuseppe La Rosa, di 45 e 39 anni; Lidia Sanzone (54)); Joseph Bruzzese (43), e Giovanni Ierace (40). Il provvedimento non eseguito riguarda una persona che si trova attualmente all'estero. Nell'ambito della stessa inchiesta, inoltre, 15 persone sono state denunciate in stato di libertà. L'inchiesta è scaturita dall'arresto, nell'agosto del 2008, di Francesco Larosa, sorpreso mentre curava una coltivazione di canapa indiana insieme ad un'altra persona che riuscì a fuggire. Le indagini hanno portato successivamente alla scoperta che l'attività del gruppo criminale capeggiato da Francesco Larosa non riguardava soltanto la coltivazione e lo spaccio di droga, ma anche una serie di estorsioni ai danni di alcune imprese impegnate a Giffone nell'esecuzione di lavori pubblici, con l'attuazione di danneggiamenti nei confronti di chi non accettava l'imposizione del "pizzo".

    Nelle prime ore della mattinata odierna i Carabinieri di Reggio Calabria hanno dato esecuzione a 9 misure cautelari nei confronti di altrettante persone indagate, a vario titolo, di danneggiamento e concorso in estorsioni reiterate ed aggravate, perché commesse con metodi mafiosi. Le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, si sono protratte dal settembre del 2008 fino alla fine del 2009, ma hanno consentito di far luce su fatti estorsivi risalenti finanche al 1994. I Carabinieri hanno infatti accertato svariate estorsioni commesse nei confronti di diverse ditte che si erano aggiudicate degli appalti pubblici nel comprensorio di Giffone, delineando un quadro nel quale, per gli imprenditori che intendevano effettuare lavori di urbanistica ed edilizia pubblica, era una consuetudine dover cedere una parte sostanziale dei loro profitti alla criminalità organizzata. Dal 1994 al 2009 le estorsioni ed i taglieggiamenti si sono ripetuti senza soluzione di continuità con le medesime modalità, matrici e richieste. L’elemento che ha caratterizzato questi crimini è stato lo strumento di persuasione che, come accade spesso nelle terre permeate da forti indici di criminalità organizzata, è consistito in reiterati danneggiamenti a mezzi di cantiere, attrezzature e materiali. Gli imprenditori sono stati stretti per anni in una morsa che li ha indotti a ritenere che il male minore fosse quello di sottostare alle pretese antigiuridiche di persone prive di scrupoli. Proprio queste modalità hanno indotto l’A.G. inquirente a contestare l’aggravante ad effetto speciale dell’aver commesso il fatto con metodi mafiosi. Le prove sono state raccolte grazie ad una serie di complessi accertamenti, tra cui intercettazioni ambientali e telefoniche, pedinamenti, servizi di osservazione a distanza e vari riscontri, necessari per definire il quadro probatorio che ha fatto luce sul preoccupante fenomeno estorsivo, che nel centro abitato di Giffone era diventato una consuetudine per tutte le imprese che si aggiudicavano appalti pubblici. L’attività investigativa,convenzionalmente denominata “Larosa”, trae le sue origini dall’arresto, nell’agosto del 2008, di Francesco LAROSA (Classe 1951), che venne colto nella flagranza del reato di coltivazione di una piantagione di canapa indiana, nella fascia aspromontana compresa tra i comuni di Cinquefrondi e Giffone. In quella circostanza, una seconda persona riuscì ad eludere l’intervento dei Carabinieri, fuggendo tra la vegetazione e gli anfratti, che in quella zona sono particolarmente impervi. I successivi approfondimenti hanno rivelato da subito che le attività criminose in cui Francesco LAROSA era direttamente impegnato non erano esclusivamente riconducibili alla coltivazione ed all’eventuale commercializzazione di sostanze stupefacenti, ma riguardavano anche un ambito criminale completamente diverso, quello appunto delle estorsioni. L’indagine, avviata inizialmente con lo scopo di identificare il secondo responsabile della coltivazione illecita e di fare luce sui canali di distribuzione dello stupefacente, è stata progressivamente rimodulata di pari passo con l’emergere di nuovi elementi di considerevole valore investigativo e probatorio, relativi ai fenomeni estorsivi in danno di ditte che si erano aggiudicate gare d’appalto indette dal comune. I lavori commissionati dall’amministrazione locale spaziavano dalla posa delle tubazioni per la distribuzione del metano, alla costruzione del campo sportivo o della scuola media, agli interventi di consolidamento su di un costone roccioso, alle attività nel settore boschivo e forestale. Il metodo per indurre gli impresari a pagare era sempre lo stesso, quello di vincere la loro resistenza effettuando dei danneggiamenti ai mezzi d’opera ed alle strutture in fase di realizzazione, che aumentavano in maniera graduale sino a quando i responsabili, non riuscivano ad ottenere il pagamento della tangente. Le cifre richieste, nella maggior parte dei casi, erano molto consistenti, tanto da raggiungere cifre che oscillavano tra i 30 ed i 40 milioni di vecchie lire. Gli elementi probatori raccolti hanno indotto la Procura della Repubblica di Reggio Calabria a contestare, per i reati illustrati nel paragrafo precedente, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 7 della Legge 203 del 1991, ritenendosi che i fatti siano stati commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art 416 bis del C.P., che descrive le caratteristiche e l’operatività delle associazioni per delinquere di tipo mafioso. Chi adotta i metodi mafiosi, infatti, come nell’indagine in esame, si avvale della forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva, per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici. Pertanto, con l’aggravante si intende che le persone indagate hanno commesso i delitti loro attribuiti esercitando una particolare coartazione psicologica non necessariamente su una o più persone determinate, ma all’occorrenza anche su un gruppo indeterminato di persone. La coartazione si realizza attraverso una condotta che è tale da evocare nelle vittime l’esistenza di consorterie e sodalizi in grado di esercitare ed amplificare la violenza a scopo intimidatorio e persuasivo. A riscontro dell’attività d’indagine sono stati conseguiti i seguenti risultati: 1 persona arrestata in flagranza; 15 persone deferite in stato di libertà; 1 piantagione di oltre 400 piante di cannabis indica sequestrata; nel luglio 2009, è stata sequestrata parte di un rituale di affiliazione alla ‘ndrangheta, di cui uno degli indagati, all’atto della perquisizione, aveva cercato di disfarsi, gettandolo nello scarico dei servizi igienici. Il GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, che ha concordato con gli esiti investigativi dei Carabinieri della Compagnia di Taurianova, ha emesso le seguenti misure cautelari, riconoscendo la sussistenza dell’aggravante dell’impiego di metodi mafiosi. Custodia cautelare in carcere per: LAROSA Francesco, 59 anni, residente a Sant Pierre (AO), boscaiolo; SANZONE Lidia , 56 anni, residente a Sant Pierre (AO), casalinga; LAROSA Ferdinando, 28 anni, residente a Giffone (RC), boscaiolo; LAROSA Giuseppe, classe 32 anni, residente a Monteroni D’Arbia (SI), autista; LAROSA Giuseppe, 45 anni, ristretto c/o Carcere di Reggio Calabria, disoccupato; LAROSA Graziano Bartolomeo, 39 anni, residente a Giffone (RC), disoccupato; BRUZZESE Joseph, 43 anni, residente ad Anoia (RC), marmista; IERACE Giovanni, 40 anni, residente a Polistena (RC), commerciante.

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