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    La Finanza sequestra beni per 20 mln al clan Mazzagatti a Oppido

     

     

    La Finanza sequestra beni per 20 mln al clan Mazzagatti a Oppido

    11 ago 10 Beni per oltre 20 milioni di euro sono stati sequestrati dalla Guardia di Finanza nei confronti della famiglia Mazzagatti-Rustico, attiva nel comune di Oppido Mamertina. Tra i beni numerose soceità e imprese nonchè diversi immobili nella loro disponinilità. A partire dalla seconda metà del 2007, il 13 luglio, la Compagnia della Guardia di Finanza di Palmi, attraverso la Procura della Repubblica di Palmi ha avanzato al Tribunale Misure di Prevenzione di Reggio Calabria, richiesta di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza nei confronti di numerosi componenti della famiglia Mazzagatti-Rustico, attiva nel comune di Oppido Mamertina (RC), il sequestro e la confisca di imprese, società ed immobili nella loro diretta ed indiretta disponibilità, nonché la sospensione temporanea dell’amministrazione degli stabilimenti di produzione e distribuzione di materiale cementizio della Italcementi S.p.A.. Il Tribunale ha accolto l’istanza cautelare, disponendo il sequestro dei beni riferibili ai proposti e la sospensione temporanea dell’amministrazione degli stabilimenti di produzione e commercializzazione della Italcementi S.p.A., operativi sul territorio calabrese. Le indagini coordinate dall’Ufficio di Procura e condotte dalla Stazione Carabinieri di Oppido Mamertina e dalla Compagnia della Guardia di Finanza di Palmi hanno, infatti, accertato come il gruppo Mazzagatti-Rustico, approfittando dello speciale, quanto torbido, rapporto fiduciario intercorrente con gli stabilimenti calabresi della Italcementi S.p.A., avesse progressivamente creato nuove società ed imprese che si sostituivano a quelle sottoposte a sequestro e confisca dalla autorità giudiziaria, neutralizzando così l’efficacia preventiva dei provvedimenti adottati. In particolare, l’analisi delle vicende criminali accertate giudizialmente e dei fatti di pericolosità evidenziati nei provvedimenti preventivi che hanno riguardato il capo famiglia, Giuseppe Mazzagatti classe 1932, ha fatto emergere la sua speciale predilezione (tramandata nel corso del tempo agli altri più giovani familiari) verso condotte delittuose orientate alla sua affermazione nel campo dell’imprenditoria ed in questa, in particolare, nel settore della commercializzazione del cemento, attraverso il trasporto per conto terzi. In sostanza, le imprese riferibili al Mazzagatti ed al suo nucleo familiare si sono storicamente interposte tra il produttore del cemento e l’imprenditore edile acquirente, svolgendo, tuttavia, un’attività che non si è limitata al semplice trasporto del cemento compravenduto da terzi, ma è giunta sino ad imporre tali imprese quali soggetti economici mediatori a cui il produttore vendeva il cemento, affinché costoro, a loro volta, lo rivendessero all’imprenditore edile (cliente finale), fornendo anche il servizio di trasporto della merce. Quanto al Mazzagatti Giuseppe va ricordato che quest’ultimo fu indagato anche per l’omicidio di un autotrasportatore (tale Grillo) con il quale aveva avuto contrasti per il predominio nel settore del trasporto del cemento su strada. Negli anni ‘80, inoltre, il Tribunale di Vibo Valentia condannò Giuseppe Mazzagatti ed il fratello Carmelo, per il reato di estorsione ai danni degli autotrasportatori di cemento che caricando il cemento presso la sede dell’Italcementi di Vibo Valentia, rifornivano diversi imprenditori della zona. Mazzagatti, infatti, vantando una amicizia con Giacomo Piromalli riuscì ad imporre agli autotrasportatori di astenersi dall’effettuare carichi di cemento destinati ai cantieri per i lavori della strada Rosarno – Gioiosa Jonica, costringendo l’azienda produttrice di cemento a rivolgersi direttamente a lui per la fornitura del materiale. Ma le indagini hanno accertato come quella descritta non fosse una collocazione imprenditoriale frutto delle capacità economiche di chi l’ha ideata ed eseguita; insieme a tali capacità, infatti, la remunerativa collocazione (nella comoda posizione di intermediario) del gruppo Mazzagatti nel mercato cementizio regionale è contrassegnata: dalla intimidazione con la quale le imprese illecite si sono imposte sul mercato, dalla coazione imposta alle imprese che si relazionavano con quelle dei Mazzagatti, dalle sovrabbondanti risorse economiche derivanti dalla gestione di lucrosi traffici illeciti, riciclati nella economia legale. Nell’accennato contesto triangolare di relazioni economiche (produttore – mediatore – acquirente finale) un ruolo determinante lo ha certamente svolto il rapporto intessuto dal gruppo Mazzagatti con il principale produttore di cemento in Calabria: l’unità produttiva calabra della Italcementi ed, in particolare, lo stabilimento di produzione di Vibo Marina (con una quota di mercato pari al 45-50% del totale). Ed infatti, solo una relazione stabile, consolidata e caratterizzata da uno speciale rapporto fiduciario che prescindesse dai requisiti economici ed imprenditoriali formalmente spendibili, poteva consentire alle imprese riferibili al Mazzagatti di irrompere sul mercato edile calabrese, affermandosi quali soggetti capaci di imporre la propria mediazione ed il proprio prezzo. Si è, infatti, accertato come la stessa esperienza criminale di Giuseppe Mazzagatti e dei suoi familiari che si sono succeduti a lui sia tipicamente caratterizzata dalla consumazione di una serie di condotte funzionali a fare sì che le sue (non già in senso formale, ma avuto riguardo al centro di imputazione degli interessi economici, sottostanti all’intestazione e, persino alla stessa gestione concreta delle stesse) imprese si imponessero con il descritto ruolo sul mercato. Sintomatica, al riguardo, è la storia giudiziaria delle indicate famiglie (in ordine alle quali la sussistenza del vincolo associativo di stampo mafioso è stata conclamata anche in sede penale – indagine “Tallone di Achille” – oltreché di applicazione delle misure preventive), che consentiva di delineare un’inarrestabile quanto emblematica espansione economica – risalente agli anni ’70 – nel settore del trasporto e dell’intermediazione della vendita del cemento attuata con un “agire mafioso” sulle imprese produttrici e sulle ulteriori ditte committenti. Le investigazioni, difatti, hanno riscontrato chiaramente una anomala “triangolazione economica” fra produttori, mediatori ed acquirenti, con un ruolo predominante rivestito dal “gruppo” malavitoso, il quale, sin dagli anni ’80 aveva, da un lato, alterato a proprio favore (ricorrendo a continue e gravi minacce) i turni di carico del cemento danneggiando gli ulteriori trasportatori legati alla “Italcementi S.p.a.” sul numero di viaggi effettuabili, dall’altro, esteso l’azione vessatoria sulle diverse ditte assegnatarie, alle quali cedeva il materiale a prezzi diversi da quelli praticati dai cementifici (significativo fu il caso della ditta “Salcos” – legata da rapporti commerciali con la Italcementi S.p.a. – impegnata nella costruzione della superstrada “Ionio/Tirreno”, in relazione alla quale la compagine mafiosa aveva ottenuto – mediante operazioni estorsive e criminose – l’esclusiva dei trasporti di cemento a condizioni di tutto vantaggio, a danno della società per azioni bergamasca). Con la sentenza n. 48/80 del Tribunale di Vibo Valentia (che attestava la sussistenza di un condotta non occasionale, legata ad uno stile imprenditoriale caratterizzato dalla intimidazione e sopraffazione, essendo state poste in essere, da tempo, sistematiche azioni dirette all’alterazione del mercato attraverso l’imposizione delle imprese collegate al gruppo criminale ed il conseguimento di ingiusti vantaggi patrimoniali ai danni di altri imprenditori), si era assistito, altresì, ad una stabile e progressiva espansione del “gruppo criminale–imprenditoriale”, generata soprattutto dai rimodulati rapporti economici con la “Italcementi s.p.a.”, la quale, a differenza del passato, non si sarebbe più opposta alle pretese egemonizzanti della cosca. Una serie di intrecci parentali susseguitisi nel tempo (utili nella tipica tradizione ‘ndranghetistica ad intessere alleanze “allargate” con altrettante famiglie locali dominanti) e la creazione di ulteriori imprese satelliti, hanno, altresì, consentito alla cerchia criminale di consolidare la presenza ed il predominio economico sul territorio di riferimento tramite, soprattutto, una Ditta Individuale (rientrante, comunque, in una più ampia “costellazione” di imprese “controllate” dai “Mazzagatti” con cui formava un unitario centro di imputazioni ed interessi economici) priva di ingenti risorse logistiche ed umane, con la quale gestiva comunque la fornitura dei cementi per conto di partners di ben noto calibro (“Italcementi S.p.a.”; “Pugliese Building S.r.l.”; “Mileto Calcestruzzi s.r.l.”; “Restuccia Costruzioni S.r.l.”; Vibo Calcestruzzi). La riconducibilità di tale anomalia alla sola logica – alternativa a quella di mercato – della forza di intimidazione mafiosa, trovava conferma nelle indagini delle Fiamme Gialle che conclamavano la capacità della ditta di praticare prezzi notevolmente superiori a quelli di mercato per la fornitura del cemento. (Era stato accertato, difatti, che il prezzo relativo al cemento tipo “325” praticato a quest’ultima dalla “Italcementi s.p.a.” pari ad euro 66,50 a tonnellata, era inferiore di 13,50 euro rispetto a quello di mercato offerto dalla “Pugliese Building s.r.l.” – 80,00 euro – sulla quale, inoltre, la medesima ditta individuale spuntava un guadagno di euro 37,00 a tonnellata derivante dalla differenza fra il prezzo imposto – pari ad euro 103,50 – e quello corrisposto alla “Italcementi s.p.a.” per il relativo acquisto. In sostanza la “Pugliese Building” era di fatto “indotta” a corrispondere alla fornitrice un prezzo incrementato del 29,38% rispetto a quello di mercato, a fronte di un “generoso” ed ingiustificato sconto – pari al 16,88% – riconosciuto a quest’ultima dalla Italcementi S.p.a.. Parimenti nella triangolazione commerciale relativa al cemento tipo “425”, veniva accertato un prezzo di “favore” pari ad euro 74,00 a tonnellata riconosciuto dalla S.p.a. bergamasca – inferiore di 16,00 euro rispetto a quello di mercato – incrementato dalla ditta individuale sino ad euro 120,50 a tonnellata nella commercializzazione alla “Pugliese Building”, con un corrispondente introito di euro 30,50 ed euro 46,50 in relazione, rispettivamente, al prezzo di mercato ed al costo di acquisto). Con il decreto n. 67/2010, emesso nel procedimento n. 61/2007 RGMP, il Tribunale di Reggio Calabria ha riscontrato la validità e l’efficacia dimostrativa degli elementi acquisiti ed introdotti dalla Procura di Palmi al fine di mettere in luce le infiltrazioni economiche ed imprenditoriali poste in essere dai Mazzagatti che, nel frattempo, hanno esteso le loro aziende ed attività nella provincia di Catanzaro, anche grazie all’alleanza con elementi della famiglia Arena operanti in quel territorio. E’ stata, perciò, applicata la misura di prevenzione personale nei confronti di tutti i soggetti che si sono prestati a svolgere attività di rappresentanza e gestione delle imprese a mezzo delle quali (nelle loro svariate denominazioni) il gruppo ha operato. Ed il giudizio del Tribunale è innovativo in quanto la valutazione che ne ha giudicato la pericolosità si è sviluppata non già in relazione alla consumazione di condotte associative o violente ovvero per la consumazione di reati contro il patrimonio o a fini di lucro, ma ha avuto riguardo alle interferenze che le imprese gestite e rappresentate dai prevenuti svolgevano sul mercato, al fine di garantire al nucleo di interessi economici gravitanti intorno alla famiglia Mazzagatti di mantenere, perpetuare e sviluppare quella posizione parassitaria illecitamente guadagnata, a suo tempo, da Mazzagatti Giuseppe, classe 1932. Altro elemento di rilievo della decisione è quello relativo alla revoca (su conforme richiesta di questo Ufficio) della sospensione temporanea dell’amministrazione degli stabilimenti calabresi della Italcementi S.p.A., in ragione della introduzione da parte di quest’ultima di innovativi modelli organizzativi volti a fronteggiare il pericolo di infiltrazioni e collusioni (del tipo di quelle accertate nel corso delle indagini) con la criminalità organizzata. In sostanza, perciò, l’emissione del provvedimento di sospensione richiesto dalla Procura di Palmi ha ottenuto l’effetto purgante a cui era funzionale, sollecitando la Italcementi S.p.A. a modificare (sopportando i relativi costi) la propria organizzazione imprenditoriale in funzione della prevenzione del rischio di favorire gli interessi imprese mafiose. Il valore complessivo della confisca odierna tra aziende, patrimoni aziendali beni mobili ed immobili ammonta a venti milioni di euro. In particolare, le aziende confiscate sono: Tra.Co.Cem. S.r.l., con sede legale ed operativa (c.da Maida) in Catanzaro, Tra.Re.C. S.r.l., con sede legale ed operativa (c.da Maida) in Catanzaro, C.M.G. S.r.l. e la ditta individuale Misale Caterina entrambe con sede legale ed operativa in Oppido Mamertina (RC).

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