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      Blitz in Emilia, 16 arresti, c'è presidente Consiglio Piacenza di origini cosentine

       

       

      Blitz in Emilia, 16 arresti, c'è presidente Consiglio Piacenza di origini cosentine

      25 giu 19 C'è anche il presidente del Consiglio comunale di Piacenza, Giuseppe Caruso, di origini cosentine, tra i destinatari delle misure contro presunti appartenenti alle famiglie di 'ndrangheta legate ai Grande Aracri. Caruso, secondo gli investigatori della Polizia, sarebbe parte integrante dell'organizzazione criminale che operava tra le province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza e che aveva ai vertici soggetti considerati di primo piano come Salvatore Grande Aracri, Francesco Grande Aracri e Paolo Grande Aracri. Oltre agli arresti e alle perquisizioni, i poliziotti stanno eseguendo un decreto di sequestro preventivo di beni emesso dalla Dda di Bologna nei confronti dei principali appartenenti al gruppo criminale riguardante società, beni mobili ed immobili e conti correnti.

      Caruso: so dove bussare

      "Perché io ho mille amicizie, da tutte le parti, bancari... oleifici... industriali, tutto quello che vuoi... quindi io so dove bussare... quindi se tu mi tieni esterno ti dà vantaggio, se tu mi immischi... dopo che mi hai immischiato e mi hai bruciato... è finita". Lo diceva a un altro indagato, secondo un'intercettazione dell'8 settembre 2015 agli atti dell'inchiesta 'Grimilde', Giuseppe Caruso, presidente del consiglio comunale di Piacenza, esponente di Fratelli d'Italia (Fdi), arrestato nell'operazione della Dda di Bologna. Nel dialogo intercettato Caruso, che secondo il Gip ha un ruolo "non secondario nella consorteria", spiegava a Giuseppe Strangio che, in relazione alla funzione che all'epoca rivestiva all'ufficio delle Dogane di Piacenza, avrebbe dovuto cercare di mantenere un certo distacco da Salvatore (per gli inquirenti Salvatore Grande Aracri) perché questi, come il padre Francesco, era controllato dalle forze dell'ordine. Sarebbe quindi stato più utile per la consorteria, ricapitola il Gip, che Caruso non apparisse all'esterno come un associato, "al fine di poter agire nell'interesse del sodalizio con più efficacia". "Ultimamente - si legge nella conversazione di Caruso, intercettata - Salvatore stesso (sottinteso: mi dice) 'stai a casa, lasciami stare, vediamoci poco'. Perché? Perché è giusto che sia così... nel senso che io dal di fuori se ti posso dare una mano te la do, compà, perché al di fuori mi posso muovere... guardo, dico, se c'è un problema, dico: 'stai attento'. Altrimenti, dopo che si viene 'bruciati', "la gente ti chiude le porte, la gente mi chiude le porte... che vuoi da me... se tu sei bruciato non ti vuole... hai capito quello è il problema... quindi allora se tu ci sai stare è così... loro invece a tutti i cani e i porci è andato a dire che io riuscivo... che a Piacenza io riuscivo a fare i libretti, le cose". Caruso venne eletto nel 2017 nel consiglio comunale. La conversazione risale, dunque, a un periodo precedente.

      Per Gip Caruso e fratello hanno confessato appartenenza

      "Io con Salvatore gli parlo chiaro, gli dico... Salvatò, non la dobbiamo affogare sta azienda, dobbiamo cercare di pigliare la minna e succhiare o no?". Così si esprimeva Giuseppe Caruso, presidente del consiglio comunale di Piacenza, intercettato nel 2015 dagli investigatori coordinati dalla Dda di Bologna mentre parlava con il fratello Albino, anche lui arrestato. Secondo il Gip Alberto Ziroldi, che ha per lui disposto la custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa, Caruso con quelle parole stava "illustrando in modo assolutamente genuino quale fosse il reale intento e scopo dell'organizzazione criminale nell'aiutare la società Riso Roncaia Spa". In un altro passaggio dell'ordinanza, il giudice sottolinea come i fratelli Caruso abbiano fornito "in più occasioni la confessione stragiudiziale della loro appartenenza al sodalizio criminoso, comportandosi di conseguenza".

      Chiesto aiuto da azienda

      Tra le vicende principali toccate dall'indagine della Dda di Bologna contro la 'Ndrangheta c'è il caso dell'azienda Riso Roncaia Spa, ditta del Mantovano che, in una situazione di difficoltà finanziaria, chiese aiuto ai fratelli Giuseppe e Albino Caruso, il primo attuale presidente del consiglio comunale di Piacenza, entrambi arrestati per il legame con la cosca Grande Aracri. Dagli atti dell'inchiesta emerge, oltre a un supporto per far ottenere alla riseria una proroga nell'ambito di un finanziamento dell'Agea (l'agenzia per le erogazioni in agricoltura da parte dell'Unione Europa) quella che viene definita come la questione 'Unicredit'. Da una telefonata registrata nel giugno 2015 dagli investigatori, tra Giuseppe Caruso e Claudio Roncaia, emerge come il primo attribuisse a sé e al proprio 'gruppo' il merito della risoluzione sia della problematica con la banca ("Hai visto come ci muoviamo") verso cui c'era un debito, sia della posizione dei Roncaia "divenuta favorevole all'interno di Unicredit - spiega il Gip nell'ordinanza di custodia - grazie all'intervento determinante di un soggetto di spessore, portato dai Caruso". In seguito, prosegue il Gip, si comprendeva che il soggetto "intervenuto per risolvere le problematiche dei Roncaia era l'allora amministratore delegato di Unicredit Federico Ghizzoni". Anche un dirigente della Riso Roncaia nel corso di un'altra conversazione, del dicembre 2015 "confermava l'intervento" dell'ex ad della banca "per l'estinzione del debito". "E stato Ghizzoni - si legge nell'intercettazione - ha fatto intervenire l'ufficio legale di Unicredit". Ghizzoni, piacentino, non risulta però indagato e secondo gli investigatori è possibile che le persone che hanno parlato di lui stessero millantando la sua conoscenza.

      Caruso a Piacenza da 30 anni

      Giuseppe Caruso, il presidente del consiglio comunale di Piacenza arrestato nell'ambito dell'indagine sulla 'ndrangheta in Emilia della Dda di Bologna, è un politico molto noto a Piacenza, dove da anni milita nella destra locale. Consigliere comunale d'opposizione dal 2002 al 2012 per Alleanza Nazionale prima e poi per il Popolo delle Libertà, è quindi entrato in Fratelli d'Italia. Presente a tutte le iniziative di partito, è uno dei volti più noti di Fratelli d'Italia, che oggi lo ha sollevato da ogni incarico. Caruso è separato e ha tre figlie, abita a Piacenza da più di 30 anni. Nel suo curriculum impieghi come consulente del lavoro, revisore dei conti, analista programmatore, infine dipendente dell'Amministrazione delle Dogane. Alle elezioni comunali del 2017, in cui poi vinse il centrodestra con l'attuale amministrazione Barbieri, ottenne 155 preferenze che gli permisero l'ingresso in consiglio comunale e di essere proposto da Fdi, che aveva ricevuto in giunta un solo assessore, come candidato alla presidenza del consiglio comunale. I fatti che gli vengono contestati risalgono a un periodo precedente a questa elezione.

      In manette il boss Aracri

      Tra i sedici arrestati nell'operazione 'Grimilde' della Polizia, coordinata dalla Dda di Bologna, c'è anche il boss Francesco Grande Aracri, oltre ai figli Salvatore e Paolo. Francesco Grande Aracri, già condannato per associazione mafiosa, viveva a Brescello, in provincia di Reggio Emilia. Il Comune è noto, oltre che per i film su Peppone e don Camillo ispirati dai libri di Guareschi, per essere stato il primo in Emilia-Romagna che venne sciolto, a fine 2107, proprio le infiltrazioni della criminalità organizzata.

      Procuratore Abate: Operazione che prosegue operazione Aemilia

      "Questa è una operazione che idealmente e materialmente rappresenta la prosecuzione del processo Aemilia. Lo avevamo detto che non era il punto terminale dell'attività di contrasto all'infiltrazione della 'ndrangheta in Emilia, perché altri accertamenti erano in corso". Lo ha affermato il procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato, spiegando in conferenza stampa i dettagli dell'operazione 'Grimilde', la maxi inchiesta che ha segnato un altro duro colpo alla 'ndrangheta in Emilia. In tutto sono 16 le misure cautelari chieste e ottenute dal pm della Dda Beatrice Ronchi, 13 in carcere e 3 ai domiciliari. A 12 persone è contestata l'associazione mafiosa, altri reati sono estorsione, violenza privata, intermediazione illecita di lavoratori. Gli indagati sono 64, un centinaio le perquisizioni. "Abbiamo contestato il reato associativo e direi che è qualificante in negativo che partecipassero a questa associazione anche persone che fanno parte di quella zona grigia di cui tante volte abbiamo parlato", ha detto ancora Amato. "C'è per esempio la figura di un commercialista (Leonardo Villirillo, ndr.) - ha spiegato ancora Amato - che ha dato un contributo essenziale per quanto riguardava le operazioni di intestazione fittizia dei beni della società che di volta in volta servivano per recidere il collegamento tra gli appartenenti all'associazione e i beni stessi". Quanto al ruolo di Giuseppe Caruso, Amato ha spiegato che "non c'entra nulla" con l'inchiesta "il ruolo politico che ricopre ora: non c'è spendita di ruolo pubblico in quest'attività che riteniamo penalmente rilevante". Il "coinvolgimento personale" di Caruso risale a quando era dipendente dell'Agenzia delle Dogane di Piacenza. In quel ruolo, ha detto ancora Amato, "è risultato coinvolto a pieno titolo in questa associazione, in particolare svolgendo un ruolo importante in alcune attività che vedevano l'associazione interessata ad una azienda di riso che operava nel mantovano"

      Cosca calabrese attiva in Emilia

      Se l'indagine 'Aemilia' aveva portato alla luce la capacità della 'Ndrangheta di infiltrarsi nel tessuto economico e sociale dell'Emilia, mostrando per la prima volta la potenza criminale della cosca Grande Aracri di Cutro, l'operazione 'Grimilde' che ha visto impegnati più di 300 agenti di polizia tra Parma, Reggio Emilia e Piacenza, coordinati dallo Sco (Servizio centrale operativo), ha dimostrato che il lavoro degli investigatori non è concluso e la cosca calabrese, nonostante arresti e sequestri, è ancora attiva. Tra i destinatari delle misure di custodia cautelare chieste dalla pm della Dda di Bologna Beatrice Ronchi ed emesse dal Gip Alberto Ziroldi - 16, di cui 13 in carcere e 3 ai domiciliari, mentre gli indagati sono 76 - c'è anche il boss Francesco Grande Aracri (fratello del più noto Nicolino), oltre ai figli Salvatore e Paolo. Francesco Grande Aracri, già condannato per associazione mafiosa in passato, viveva a Brescello, in provincia di Reggio Emilia. Secondo gli investigatori lui e i figli erano a capo del gruppo criminale, i cui appartenenti sono responsabili a vario titolo di titolo di associazione di stampo mafioso, estorsione, tentata estorsione, trasferimento fraudolento di valori, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, danneggiamento e truffa aggravata. "Nessuna tregua e nessuna tolleranza per i boss, avanti tutta contro i clan", ha commentato il vicepremier e ministro dell'Interno Matteo Salvini. In carcere è finito anche il presidente del Consiglio comunale di Piacenza, Giuseppe Caruso, di Fratelli d'Italia, che secondo il gip "ha un ruolo non secondario nella consorteria". "Il coinvolgimento personale di Caruso risale a quando era dipendente dell'Agenzia delle Dogane di Piacenza - ha spiegato il procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato - non riguarda il suo ruolo politico". Fdi, appena appresa la notizia, ha sollevato Caruso dai suoi incarichi. Caruso, per il Gip, avrebbe "messo stabilmente a disposizione le prerogative, i rapporti professionali e amicali e gli strumenti connessi al proprio lavoro di dipendente dell'ufficio delle Dogane di Piacenza per il perseguimento degli interessi" del sodalizio 'ndranghetistico. "Perché io ho mille amicizie, da tutte le parti, bancari, oleifici, industriali - diceva il politico parlando con un'altro indagato mentre era intercettato nel 2015 - tutto quello che vuoi... quindi io so dove bussare...". E ancora, mentre parlava con il fratello Albino, anche lui arrestato: "Io con Salvatore (Grande Aracri, ndr) gli parlo chiaro, gli dico... Salvatò, non la dobbiamo affogare sta azienda, dobbiamo cercare di pigliare la minna e succhiare o no?". Il riferimento è alla 'Riso Roncaia Spa', azienda mantovana che si era rivolta all'organizzazione, finendo poi nelle sue grinfie e coinvolta in una presunta truffa su un finanziamento Agea. Negli atti si ricostruisce il ruolo dei fratelli Caruso, anche in quella che viene definita "vicenda Unicredit", cioè un debito con la banca. Nelle conversazioni tra alcuni indagati si fa riferimento a un intervento dell'ex ad di Unicredit, il piacentino Federico (RPT: Federico) Ghizzoni, che però non risulta coinvolto nell'inchiesta e gli investigatori sostengono che la sua conoscenza possa essere stata millantata.

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