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      Inchiesta Aemilia: 118 condanne per oltre 1.200 anni di carcere

       

       

      Inchiesta Aemilia: 118 condanne per oltre 1.200 anni di carcere

      31 ott 18 Oltre 1.200 anni di carcere: li ha inflitti il collegio di Aemilia al termine del maxi-processo di 'Ndrangheta. A quanto risulta dal dispositivo letto in tribunale a Reggio Emilia: si tratta di 118 condanne in rito ordinario (la più alta a 21 anni e otto mesi) e di altre 24 in abbreviato per 325 anni, per reati commessi dal carcere durante il processo. Le sentenze hanno sostanzialmente ricalcato le richieste dei pm della Dda Beatrice Ronchi e Marco Mescolini. Per Vincenzo Iaquinta, condannato a due anni nel processo 'Aemilia' a Reggio Emilia, è caduta l'aggravante mafiosa. Lo si apprende dalla lettura del dispositivo della sentenza. L'ex attaccante campione del Mondo era accusato di aver violato articoli della legge sul 'controllo delle armi', e di averlo fatto agevolando l'associazione 'ndranghetistica emiliana di cui fa parte anche il padre Giuseppe, condannato oggi a 19 anni. L'ex calciatore avrebbe consapevolmente ceduto o comunque lasciato nella disponibilità del padre armi legittimamente detenute (un revolver Smith & Wesson, una pistola calibro 3,57 Magnum, una pistola Kelt-tec calibro 7,65) e munizioni. Giuseppe Iaquinta, però, aveva ricevuto un provvedimento dal prefetto di Reggio Emilia, nel 2012, che gli vietava di detenere armi e munizioni, a causa delle segnalazioni relative alla frequentazione con alcuni degli indagati. Il padre quindi rispondeva, tra l'altro, di aver illegalmente detenuto le armi nella sua casa nel Reggiano, e il figlio di avergliele consapevolmente date o lasciate nella disponibilità.

      "La 'Ndrangheta a Reggio Emilia c'era, non ne abbiamo mai dubitato in questi anni. Ma ora lo hanno confermato la Cassazione e la sentenza di oggi". Così il procuratore capo di Bologna e coordinatore della Dda Giuseppe Amato commenta la sentenza del processo Aemilia di primo grado arrivata oggi, in seguito all'indagine svolta dai pm di Bologna Marco Mescolini, oggi procuratore capo di Reggio Emilia e Beatrice Ronchi. "Un processo e una condanna, però, non interrompono l'evento criminoso - ha proseguito Amato - gli accertamenti giudiziari dovranno proseguire. Aemilia apre la pista ad altri processi, come è avvenuto per i delitti degli anni Novanta, grazie alle collaborazioni dei pentiti. Ma ci sono altri profili che meritano investigazioni, le indagini non finiscono". Il riferimento, in particolare, è alla quarantina di sospette false testimonianze per le quali il tribunale ha rinviato gli atti alla procura. "Non è una sorpresa - conclude Amato - dato che si parla di un procedimento su un reato che si contraddistingue anche per l'omertà dell'associazione mafiosa, questo porta a dubitare della genuinità di determinate dichiarazioni".

      "La sentenza emessa oggi conferma nella sostanza l'impianto accusatorio, così come aveva fatto alcuni giorni or sono il pronunciamento emesso a Bologna. Non è un punto d'arrivo, è un punto processuale fermo e importante nella storia di una comunità che ha in questi anni affrontato con consapevolezza e decisione la sfida a favore della legalità". E' il commento del sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi alla sentenza del processo. "Prendiamo altresì atto - prosegue - dell'accoglimento pieno della Costituzione di parte civile da parte dell'Amministrazione del Comune capoluogo". Per Vecchi, Aemilia "ha senz'altro rappresentato un punto di svolta per Reggio Emilia. Ritengo - continua - abbia ridefinito la scala di priorità nel porsi davanti al pericolo mafioso e abbia almeno in parte modificato il Dna delle relazioni istituzionali intese in senso largo, di fronte a un fenomeno che oggi conosciamo sicuramente meglio grazie al lavoro dei Pm e dei giudici. Proprio loro, unitamente a molti autorevoli studiosi ed esperti ci hanno consegnato un contributo fondamentale in questi anni: ci hanno insegnato fra l'altro che, al cospetto di uno scenario quale quello che abbiamo verificato nel reggiano, occorre avere il giusto mix di rigore, costanza e di lucidità per non lasciarsi travolgere ma per rendere sistemica una battaglia a favore dello Stato di Diritto, a difesa della democrazia".

      "La sentenza conferma l'impianto accusatorio, in particolare le responsabilità in ordine al reato di associazione mafiosa, e fa giustizia delle gravissime condotte attribuite alla consorteria 'Ndranghetista emiliana che ha prodotto in questi anni gravissimi danni al tessuto economico, sociale e del lavoro". Così i sindacati Cgil, Cisl e Uil commentano la sentenza del tribunale di Reggio Emilia che ha condannato 125 imputati nel processo Aemilia. "Si tratta di un risultato importante, anche per la straordinaria entità dei beni confiscati, che riconosce l'assoluta fondatezza delle ragioni che hanno portato le organizzazioni sindacali confederali regionali, di Modena e Reggio Emilia a costituirsi parte civile nel processo Aemilia, il più grande processo alla mafia che si sia mai svolto nel Nord Italia", aggiungono i sindacati, che erano costituiti parte civile.

      "La sentenza di oggi non ha potuto che riconoscere le infiltrazioni della cosca 'ndranghetista che si è radicata nel territorio emiliano con gravissime conseguenze sul tessuto economico-sociale e sul lavoro. È esattamente quello che hanno anticipato e scritto non pochi cronisti che, per queste ragioni, hanno persino dovuto subire una violenta campagna di aggressioni e di insulti, proprio come è accaduto a Roma nei confronti dei molti cronisti che hanno 'osato' anticipare Mafia Capitale". Così, in una nota, la Federazione nazionale della stampa italiana e l'Associazione stampa dell'Emilia-Romagna, che ha assistito alla lettura della sentenza del processo 'Aemilia' con una delegazione composta dal presidente della Fnsi Giuseppe Giulietti, dal segretario Mattia Motta e dal vicepresidente dell'Aser Giorgio Maria Leone Il sindacato e l'ordine dei Giornalisti "sono parte civile perché il malaffare odia la libertà di informazione. Sarebbe meglio ascoltare e leggere gli articoli dei giornalisti, anziché minacciarli con le querele temerarie e le ingiurie dentro e fuori la rete". Fnsi e Aser spiegano dunque di essere venuti a Reggio Emilia "per ringraziare i cronisti, l'associazione Libera, le cittadine e i cittadini che hanno seguito questo processo udienza per udienza e che non hanno mai smesso di contrastare mafie e corruzione. Ora più che mai sarà necessario che i media nazionali non spengano i riflettori su Reggio Emilia e sui focolai di infezione ancora aperti".

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