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      Rapporto salute: Al sud si muore di più per cancro, niente cure mancano soldi

       

       

      Rapporto salute: Al sud si muore di più per cancro, niente cure mancano soldi

      19 apr 18 In Italia si muore meno per tumori e malattie croniche ma solo dove la prevenzione funziona, ovvero principalmente nelle regioni settentrionali. Al Sud, invece, la situazione è opposta: il tasso di mortalità per queste malattie è infatti maggiore di una percentuale che va dal 5 al 28% e la Campania è la regione con i dati peggiori. A sottolinearlo è il direttore scientifico dell'Osservatorio nazionale sulla salute delle regioni italiane, Alessandro Solipaca, in occasione della presentazione del Rapporto Osservasalute. Il dato considerato, spiega Solipaca, "è quello della mortalità precoce, dai 30 ai 69 anni, per varie patologie come tumori, diabete e malattie croniche e cardiovascolari: tale mortalità è diminuita negli ultimi anni ma maggiormente al Nord, dove maggiori e più efficaci risultano i progetti di prevenzione". I dati relativi al Meridione, invece, sono di segno opposto: "La situazione più grave è in Campania dove - afferma l'esperto - si registra un +28% di mortalità per tali malattie rispetto alla media nazionale del 2,3%; in Sicilia la mortalità è del +10%, in Sardegna è del +7% ed in Calabria è del +4,7%. Eccezione è la Puglia dive, invece, il tasso di mortalità è nella media nazionale". Dunque, rileva il Rapporto, "laddove la prevenzione funziona, la salute degli italiani è più al sicuro, con meno morti per tumori e malattie croniche come il diabete e l'ipertensione: diminuiti del 20% in 12 anni i tassi di mortalità precoce per queste cause". Si conferma dunque il "profondo divario fra Nord e Meridione" e "paradigmatica è la sopravvivenza per tumori: nel Centro-Nord la sopravvivenza è largamente omogenea per tutte le sedi tumorali esaminate, indicando una sostanziale equivalenza non solo dei trattamenti, ma anche delle strategie di diagnosi, mentre al Sud e Isole risulta generalmente inferiore alla media". Per quanto riguarda i tumori oggetto di programmi di screening, gli effetti dell'introduzione di misure efficaci di prevenzione secondaria sono visibili nelle aree del Paese dove si è iniziato prima e dove la copertura è ottimale. Una minor copertura di popolazione e una ritardata implementazione degli screening, avverte il Rapporto, "sono fattori da considerare per spiegare le diverse performance osservate nel Paese": ad esempio nella PA autonoma di Trento lo screening preventivo per il tumore del colon retto raggiunge una copertura del 72% della popolazione, mentre in Puglia la copertura degli screening preventivi per questo tumore arriva appena al 13%. Le regioni con la mortalità precoce più bassa sono state l'Umbria (204,7 per 10.000), l'Emilia-Romagna (205,8 per 10.000) e il Veneto (206,9 per 10.000).

      In Calabria mortalità 114/1000 uomini, 76 donne. I dati di mortalità, nel 2015, in Calabria risultano pari a 114,4 per 10.000 per gli uomini ed a 76,6 per 10.000 per le donne a fronte di un valore nazionale di 112,2 per 10.000 per gli uomini e di 74,6 per 10.000 per le donne. E' quanto emerge dal Rapporto Osservasalute presentato oggi. Nell'intervallo temporale 2003-2015, è scritto in una nota, si registra sia per gli uomini (-13,1% contro -20,7% valore nazionale) che per le donne (-16,8% contro -17,3% valore nazionale) un decremento. Rispetto ai valori nazionali, i dati registrati per gli uomini sono tutti minori, ad eccezione del dato del 2009, del 2014 e del 2015, che risultano superiore. Per quanto riguarda il tasso di fecondità totale (numero di figli per donna) di cittadine italiane e di cittadine straniere, nel 2015 è pari a 1,29 figli per donna (valore nazionale 1,35) risultando inferiore al livello di sostituzione (circa 2,1) che garantirebbe il ricambio generazionale. Nell'arco temporale 2002-2015, rileva il rapporto, si osserva che la ripresa dei livelli di fecondità, in atto a livello nazionale fino al 2010, mostra in Calabria un andamento caratterizzato da dati tutti minori rispetto ai dati Italia. Considerando l'intero periodo, in Calabria il tasso di fecondità è aumentato del 4,8% (valore nazionale +6,3%). La speranza di vita alla nascita, nel 2016, è pari a 80 anni per gli uomini ed a 84,7 anni per le donne (valore nazionale: uomini 80,6 anni e donne 85,0 anni) con il divario che tende a ridursi pur risultando ancora consistente a favore delle donne. Nel periodo 2002-2016, si osserva, per il genere maschile, un trend in aumento (+2,2 anni). Anche per il genere femminile si osserva un trend in aumento (+1,7 anni). Nel 2016, la quota di fumatori tra la popolazione di età 14 anni ed oltre è pari a 15,9% (valore nazionale 19,8%), valore minimo tra tutte le regioni. Considerando il periodo 2007-2016, si registra una diminuzione (-6,5%) e l'andamento che si osserva è altalenante. La prevalenza di persone di età 18 anni ed oltre in condizione di sovrappeso è pari, nel 2016, a 40,4% (valore nazionale 35,5%). Nell'arco temporale 2005-2016, i dati della Calabria risultano tutti maggiori rispetto ai valori Italia. La prevalenza di persone di età 18 anni ed oltre obese è pari, nel 2016, a 10,0% (valore nazionale 10,4%). I dati della Calabria presentano un andamento oscillante (range 10,1-12,0%) con valori tutti superiori ai dati nazionali ad eccezione del dato 2006 che risulta uguale. In Calabria, nel 2016, la prevalenza di coloro che dichiarano di non praticare sport è pari a 53,4% (valore nazionale 39,2%). Nel complesso, considerando l'arco temporale 2005-2016, i dati mostrano un andamento oscillante con valori nettamente tutti superiori rispetto ai dati nazionali. A livello di prevenzione, la copertura vaccinale antinfluenzale nella popolazione di età 65 anni ed oltre è pari, nella stagione 2016-2017, a 57,9% (valore nazionale 52,0%). Nel periodo stagionale 1999-2000/2016-2017, i dati di copertura della Calabria risultano sia maggiori che minori rispetto ai dati Italia. Il valore massimo in Calabria si è registrato nella stagione 2008-2009. Il consumo di farmaci antidepressivi, nel 2015, è pari a 37,6 DDD/1.000 ab die (valore nazionale 39,9 DDD/1.000 ab die). Nel periodo 2004-2016 si osserva un marcato trend in aumento (+77,0%), con andamento simile a quello italiano. La proporzione di parti con taglio cesareo, nel 2016, è pari al 38,1% (valore nazionale 35,1%). Nell'arco temporale 2005-2016, i valori sono quasi tutti superiori ai valori nazionali. Il valore dell'indicatore relativo alla spesa sanitaria pubblica pro capite, nel 2016, è pari a 1.741 euro (valore nazionale 1.845). In Calabria, considerando l'arco temporale 2010-2016, si osserva un trend simile all'andamento nazionale ed i dati risultano tutti inferiori rispetto ai dati Italia. Considerando l'intero periodo temporale nella regione in esame si è registrata una diminuzione pari a -2,1% (valore nazionale -0,8%). Il consumo di farmaci, in Calabria, nel 2016, è pari a 1.078 DDD/1.000 ab die (valore nazionale 1.134 DDD/1.000 ab die). Nell'arco temporale 2001-2016 il trend della Calabria è molto simile all'andamento nazionale ed i dati risultano tutti superiori rispetto ai dati Italia, tranne per l'ultimo anno. La percentuale di pazienti di età 65 anni ed oltre operati entro 2 giorni per frattura del collo del femore è, nel 2016, pari a 35,9% (valore nazionale 62,3%). Nel periodo 2001-2016, i valori della Calabria risultano tutti inferiori ai valori Italia e presentano un andamento oscillante, ma in aumento anche se in modo meno marcato rispetto all'andamento nazionale. (

      Niente cure mancano soldi. Nel sud Italia una persona su cinque dichiara di non aver soldi per pagarsi le cure, quattro volte la percentuale osservata nelle regioni settentrionali. Il dato è evidenziato dal Rapporto Osservasalute. Gli esiti di salute, "in particolare la mortalità prevenibile attraverso adeguati interventi di Sanità Pubblica - si legge nel Rapporto - sono drammaticamente più elevati al Sud. La Campania, e in particolare la Calabria, sono le regioni che nel quadro complessivo mostrano il profilo peggiore". Si evidenziano dunque, avverte l'indagine, "situazioni di buona copertura dei sistemi sanitari nelle regioni del Centro-Nord, mentre per il Meridione appare urgente un forte intervento in grado di evitare discriminazioni sul piano dell'accesso alle cure e dell'efficienza del sistema". Il Rapporto sottolinea che la spesa out of pocket (da parte dei cittadini) per la salute, negli ultimi anni è aumentata, mediamente, di circa l'8,3% (2012-2016) ma in maniera disuguale nel Paese. L'aumento è stato elevato nelle regioni del Nord, nel Centro i valori di tale spesa sono stati costanti, mentre sono diminuiti nelle regioni meridionali. Nel decennio 2005-2015 "si è osservato un netto incremento della spesa privata (+23,2%, da 477,3 euro pro capite a 588,1), soprattutto nelle regioni del Nord. Tali regioni si contraddistinguono per alti livelli di spesa pubblica pro capite, buoni livelli di erogazione dei Livelli essenziali di assistenza Lea e quote basse di persone che rinunciano alle cure". Tale evidenza può essere interpretata, sottolinea il direttore scientifico dell'Osservatorio nazionale sulla salute delle regioni Alessandro Solipaca, "come il risultato di scelte individuali di cittadini che, avendo la possibilità economica, preferiscono rivolgersi al settore privato, ottenendo un servizio più tempestivo o di migliore qualità. D'altra parte non va dimenticato che spesso la compartecipazione alla spesa richiesta dal settore pubblico è confrontabile con la tariffa del privato". Si osserva che a guidare la classifica delle regioni con la spesa privata pro capite più alta troviamo la Lombardia (608€), l'Emilia-Romagna (581€) e il Friuli Venezia Giulia (551€), che vantano anche strutture sanitarie pubbliche con standard qualitativi più elevati rispetto alle altre regioni. Calabria (274€), Campania (263€) e Sicilia (245€) chiudono questa graduatoria. Confrontando la situazione italiana con il contesto europeo, l'Italia è 13/ma in termini di quota di spesa out of pocket e 7/ma con la quota più alta di persone che dichiarano di aver rinunciato a una prestazione sanitaria di cui avevano bisogno, quasi il doppio della media dell'UE.

      Tra 10 anni 6.3 mln italiani non autonomi. In soli 10 anni, ovvero nel 2028, si registrerà in Italia una popolazione anziana non autosufficiente pari a 6,3 milioni di persone. La proiezione è del Rapporto Osservasalute 2017: nel 2028, tra gli over-65 le persone non in grado di svolgere le attività quotidiane per la cura di se stessi (dal lavarsi al mangiare) saranno circa 1,6 mln (100 mila in più rispetto a oggi), mentre quelle con problemi di autonomia (preparare i pasti, gestire le medicine e le attività domestiche) arriveranno a 4,7 mln (+700 mila). Ciò, avverte il Rapporto, porrà "seri problemi per l'assistenza". Il trend, sottolinea il Rapporto - pubblicato dall'Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane, che ha sede presso l'Università Cattolica, e coordinato dal presidente dell'Istituto superiore di sanità Walter Ricciardi e dal direttore scientifico dell'Osservatorio Alessandro Solipaca - è delineato "considerando l'andamento demografico di invecchiamento e gli attuali tassi di disabilità, ma i dati potrebbero rappresentare una sottostima del problema". "Ci troveremo di fronte a seri problemi per garantire un'adeguata assistenza agli anziani - avverte Solipaca - in particolare quelli con limitazioni funzionali (che non sono autonomi), perché la rete degli aiuti familiari si va assottigliando a causa della bassissima natalità che affligge il nostro Paese da anni e della precarietà dell'attuale mondo del lavoro che non offre tutele ai familiari caregiver". Più in generale, l'indagine segnala come diminuisca il numero degli abitanti in Italia, con oltre 1 italiano su 5 che ha più di 65 anni: attualmente sono 6,6 mln i 65-74enni (10,9% con un picco del 12,7% in Liguria), 4,8 mln i 75-84enni, 2 mln gli over-84 (con le donne che rappresentano la maggioranza, ovvero il 68%). Continuano invece a calare gli ultracentenari: al gennaio 2017, meno di 3 residenti su 10mila hanno 100 anni e oltre e le donne sono le più numerose. Attualmente, ben il 30,3% degli ultrasessantacinquenni ha molta difficoltà o non è in grado di usare il telefono, prendere le medicine e gestire le risorse economiche, preparare i pasti, fare la spesa e svolgere attività domestiche, leggere, svolgere occasionalmente attività domestiche pesanti. Tali prevalenze si attestano al 13% nella classe di età 65-74 anni, al 38% per gli anziani tra i 75-84 anni e al 69,8% tra gli ultra ottantacinquenni. Da ciò, rileva il Rapporto, "si evince una richiesta di aiuto e una difficoltà di gestione della quotidianità".

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