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      Chiedevano pizzo sui terreni, 7 arresti della Mobile di Catanzaro

       

       

      Chiedevano pizzo sui terreni, 7 arresti della Mobile di Catanzaro

      07 dic 17 La polizia di Catanzaro ha arrestato, su disposizione della Dda, esponenti di rilievo e affiliati della cosca Gallelli, operante nel comprensorio del basso versante ionico catanzarese, perché ritenuti responsabili di numerosi episodi estorsivi ai danni di un'impresa agricola appartenente ad una nota famiglia di latifondisti. Dalle indagini, condotte dalla Squadra mobile di Catanzaro e coordinate dalla Dda, è emerso che il capo cosca Vincenzo Gallelli, di 74 anni, sin dai primi anni '90 avrebbe imposto la "guardiania" sulle proprietà di una nota famiglia di Badolato, fissando anche le modalità di sfruttamento dei terreni costringendo di anno in anno gli imprenditori a concederli a pascolo ed erbaggio ai propri familiari, nipoti e pronipoti, impedendone in tal modo il libero sfruttamento commerciale da parte dei legittimi proprietari. La pressante condizione di assoggettamento ed omertà imposta ai titolari dell'azienda, realizzata anche con sistematici danneggiamenti alle strutture dell'impresa, li aveva costretti a modificare e rivedere i termini e le condizioni contrattuali stabiliti con altri operatori agricoli, la cui presenza doveva rappresentare una sorta di argine alle pretese ed ai condizionamenti di Gallelli.

      Vittime in soggezione psicologica. Erano in una condizione di totale soggezione psicologica gli imprenditori vittime delle richieste estorsive portate avanti dalla cosca Gallelli, operativa nella zona del soveratese. E' quanto emerso dalle indagini che stamani hanno portato all'operazione "Pietranera", condotta dalla Squadra mobile di Catanzaro e coordinata dalla Dda, con l'arresto di sette persone indicate come appartenenti al sodalizio criminale. Una soggezione, secondo gli investigatori, tale da indurre le vittime a omettere per anni di sporgere formale denuncia contro l'arbitraria e abusiva occupazione dei terreni nonché l'utilizzo dei mezzi agricoli che nel corso degli anni i Gallelli avevano attuato anche mediante minacce al fattore dell'impresa agricola. Dall'inchiesta è emerso, infatti, che le estorsioni sarebbero andate avanti dalla metà degli anni '90 al 2008.

      Gli arrestati. In manette sono finiti Vincenzo Gallelli, di 74 anni, detto "Cenzo Macineju", indicato come il capo della cosca; Andrea Santillo Andrea (57), detto "Nuzzo"; Antonio Santillo (28); Antonio Gallelli (37); Francesco Larocca (51); Giacomo Nisticò Giacomo (50); Giuseppe Caporale (36). Sono accusati, a vario titolo, di più episodi di estorsione aggravata dalla metodologia mafiosa, nei confronti di due imprenditori agricoli con attività a Badolato.

      Le indagini, coordinate dai procuratori aggiunti della Dda catanzarese Vincenzo Luberto e Vincenzo Capomolla con la supervisione del procuratore Nicola Gratteri ed effettuate con intercettazioni telefoniche e ambientali, hanno fatto emergere come gli imprenditori agricoli, dalla metà degli anni '90 al 2008, siano stati costretti ad accettare la presenza nelle loro aziende, quale "custode", di Vincenzo Gallelli, il quale, secondo l'accusa, in virtù delle doti criminali rivestite, garantiva loro la cosiddetta "tranquillità ambientale", costringendoli, però, a donargli quale controprestazione, numerosi terreni, nonché ad affidare la gestione e lo sfruttamento di altri fondi agricoli a sé o ai suoi più prossimi familiari, quali il pronipote Antonio Gallelli con divieto, di fatto, di esercitare, sui terreni attività non concordate con il capo cosca. Ogni volta che le vittime tentavano di dare corso a una produzione agricola intensiva, i loro raccolti erano completamente distrutti dagli animali della famiglia Gallelli lasciati abusivamente al pascolo sui terreni coltivati. La pressante condizione di assoggettamento e omertà imposta ai titolari dell'azienda li costringeva, inoltre, a modificare le condizioni contrattuali con altri operatori agricoli. Secondo gli investigatori, Vincenzo Gallelli, per la realizzazione dei propri intenti criminosi, utilizzava il nipote Antonio Santillo, i pronipoti Antonio Gallelli e Giuseppe Caporale, paventando tramite Francesco Larocca e il genero Giacomo Nisticò Giacomo, il verificarsi di gravissimi atti di sangue qualora le direttive del capo cosca non fossero state seguite.

      Gratterii: mafie sempre interessate a latifondi. "Così come ai tempi della picciotteria la 'ndrangheta continua a essere fortemente interessata al controllo del latifondo". Lo ha sostenuto il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri nel corso della conferenza stampa tenutasi per illustrare i risultati dell'operazione "Pietranera" condotta dalla Squadra mobile. "Il controllo di un territorio - ha aggiunto Gratteri - passa non solo attraverso i centri abitati ma anche attraverso le aree agricole. Inoltre i clan guadagnano sulle terre imponendo la guardiana, una vera e propria estorsione, e l'assunzione di affiliati. In questo modo la cosca riesce a infiltrarsi nella gestione dei terreni fino a controllare le aziende agricole e a lucrare anche sui contributi pubblici". Nel corso dell'indagine è emerso come una nobile famiglia di proprietari terrieri per oltre vent'anni abbia avuto come "interlocutori i Gallelli Macineji che - ha spiegato il procuratore aggiunto Vincenzo Luberto - gli contendevano le risorse economiche con metodi mafiosi". La genesi delle indagini, ha detto l'aggiunto Vincenzo Capomolla, si deve ad alcune intercettazioni avviate dall'autorità giudiziaria subito dopo gli arresti effettuati nel 2015 nei confronti proprio del clan Gallelli. "Quei dialoghi captati - ha aggiunto Capomolla - hanno consentito di carpire gli interessi della cosca sui terreni e di svelare come nonostante gli arresti domiciliari il boss continuasse a impartire prescrizioni agli affiliati sulla gestione delle terre". Gli affiliati, secondo il capo della Mobile Nino De Santis, "da custodi sarebbero diventati poi padroni dell'azienda agricola pretendendo di esercitare diritti sull'intero latifondo". Il questore Amalia Di Ruocco ha sottolineato l'importanza delle dichiarazioni delle vittime che hanno dato conferma agli esiti delle attività di indagine. "La popolazione calabrese - ha detto - deve sapere che non è sola, lo Stato può vincere se si collabora".

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