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Pesanti tagli del federalismo al sud

 

Per il federalismo il sud rischia di perdere un miliardo di euro all’anno. 400 mln solo la Calabria

11 feb 09 L'attuazione del federalismo fiscale deve "rispettare i criteri di equità e solidarietà". Lo sottolinea il direttore della Svimez (Società per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno), Riccardo Padovani, in una audizione tenutasi oggi di fronte alle commissioni Bilancio e Finanze della Camera nell'ambito dell'esame del disegno di legge già approvato al Senato. In particolare, secondo la Svimez è necessario superare alcune ambiguità relative al 'cuore' del provvedimento: il passaggio dalla spesa storica al costo standard. Un punto che "ha forti implicazioni sia sul piano costituzionale che sul piano della sostenibilità finanziaria". "Sul piano della determinazione dei 'costi standard' - sottolinea Padovani - sono circolate elaborazioni secondo le quali esso sarebbe determinato in riferimento al benchmark risultante dalla spesa media della regione presa come riferimento per la determinazione dell'aliquota di compartecipazione o dalla spesa media di alcune regioni ritenute più efficienti. In questa metodologia proposta per la formulazione dei 'costi standard' si celano alcune ambiguità e pericoli". Secondo Padovani, tra l'altro, interpellato a margine dell'audizione, senza correzione e specificazioni su questo punto il rischio è quello che "il mezzogiorno perda un miliardo all'anno e la sola Calabria 400 milioni". Secondo la Svimez il problema del ddl é legato anche a un mancato riconoscimento della specificità del Sud. Nella "visione unitaria degli interessi del Paese", osserva Padovani, "non può non collocarsi in posizione preminente il problema dello sviluppo del Mezzogiorno". Quindi "se vi è ancora spazio per questa visione unitaria, in cui noi continuiamo a credere nonostante troppi segnali negativi, allora non può non esservi una seria e stabile riforma dell'intero sistema di finanziamento delle amministrazioni pubbliche centrali e locali che preveda e consenta contestualmente una forte politica per lo sviluppo e la coesione". La Svimez critica l'articolo del ddl riguardante la perequazione infrastrutturale inserito al Senato che "tende ad escludere qualsiasi specificità al Mezzogiorno, negandone di fatto la condizione di sottosviluppo". Stesso discorso, secondo l'associazione, va fatto per gli interventi speciali previsti all'articolo 119 della Costituzione che rischiano di essere utilizzati "come i Fas", per molti scopi diversi dallo sviluppo del sud. In questo senso la Svimez denuncia l'"indeterminatezza delle norme di attuazione, che fissano i principi cui dovrà attenersi il governo nel predisporre i decreti delegati". Infine Padovani denuncia una questione riguardante la legge elettorale chiedendo in buona sostanza il ripristino di meccanismi diversi dalle liste bloccate. "Non può non segnalarsi - sottolinea - il rischio che i vantaggi attesi dall'introduzione del federalismo possano trovare un qualche depotenziamento in connessione con gli attuali sviluppi della politica italiana; l'investitura fiduciaria dei candidati, da parte dei livelli centrali dei partiti e dei maggiori loro esponenti in sede di elezioni amministrative o di scelte relative a tecnici e dirigenti, può di fatto rendere meno stringenti gli effetti della 'responsabilizzazione' rispetto a cittadini e territori"
D’Antoni “Svimez ha ragione”. "I rilievi della Svimez sul federalismo fiscale ricalcano tutti i nostri timori". Lo sottolinea il responsabile per il Sud del Partito Democratico, Sergio D'Antoni, a proposito dell'audizione dell'associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno nelle commissioni Bilancio e Finanze della Camera nell'ambito del ddl sul federalismo fiscale. "Nel ddl - aggiunge D'Antoni - non c'é neppure una riga sulle specificità strutturali ed economiche del Mezzogiorno, né è rimarcata la necessità di rilanciare il Sud con misure adeguate in un'ottica di sviluppo nazionale. Il governo vorrebbe lasciare il meridione a se stesso dopo averlo depredato dei fondi europei stanziati per il suo sviluppo". "Troppe ancora le incognite - conclude D'Antoni - anche nel passaggio ai costi standard, che potrebbe far perdere ai territori del Sud oltre un miliardo di euro. Uno scippo che peserebbe sui servizi alle famiglie e alle imprese delle aree più esposte alla crisi. Il federalismo deve aumentare l'efficienza e rilanciare lo sviluppo di un Paese solidale e unitario. Perché questo accada, servono strumenti in grado di rilanciare le aree deboli".

ISAE: Lo Stato dovrà trasferire 170 mld di imposte. L'attuazione del federalismo fiscale, con il trasferimento di risorse alle Autonomie locali per finanziare le funzioni previste dal ddl, potrebbe dover portare lo Stato a "rinunciare" in favore degli enti territoriali a 170 miliardi di imposte. E' quanto emerge dai calcoli che l'Isae ha oggi presentato in Parlamento, durante l' audizione sul Federalismo fiscale nelle commissioni Bilancio e Finanze della Camera. Lo spostamento di imposte sui tabacchi, sui giochi e sul patrimonio immobiliare, che l'Isae individua come possibili tributi decentrabili, garantirebbe infatti 48 miliardi di gettito. A questi, se lo Stato cancellasse tutti gli altri trasferimenti oggi previsti, si dovrebbero aggiungere ulteriori 121 miliardi da ritagliare all'interno di Irpef e Iva: così a Regioni, Comuni e Province andrebbero anche il 55% dell'Imposta sui redditi delle presone fisiche e il 66% dell'imposta sul valore aggiunto. L'istituto è tra i primi enti ad essersi presentati in audizione con una simulazione sui possibili effetti del provvedimento anche se solo per quanto riguarda i trasferimenti da decentrare. In base a uno studio effettuato dall'Isae le risorse da decentrare ammontano, dunque, a 70 miliardi, considerando, però, nella funzione relativa al 'diritto allo studio' anche gli stipendi degli insegnanti. Una cifra di sbilancio complessivo che però sale a 121 miliardi "qualora si dovessero eliminare i trasferimenti oggi in atto che non sono previsti tra le fonti di finanziamento dell'articolo 119 della Costituzione" ed andrebbero coperti "con compartecipazioni a tributi erariali e/o con flussi del fondo perequativo". Quindi, ipotizza l'Isae, "considerando come imposte utilizzabili l'Iva e l'Irpef, e fissando l'aliquota di compartecipazione uniforme al livello pari a quello che consente l'azzeramento del fabbisogno della regione dotata di maggiore capacità fiscale in rapporto alle spese da finanziare, si avrebbe un'aliquota Iva pari al 66%. Il fondo perequativo dovrebbe quindi finanziare tutte le altre Regioni, alimentandosi sull'Irpef o sulla fiscalità generale erariale. Le necessità di funzionamento verticale del fondo richiederebbero il 55% dell'Irpef". A questo calcolo vanno aggiunti 48 miliardi, che l'Isae ipotizza possano essere coperti con il trasferimento dallo Stato agli enti territoriali delle imposte sui tabacchi, il patrimonio immobiliare, il bollo o le accise sui prodotti energetici. In totale, quindi, per l'istituto, lo 'spostamento' di tributi dallo Stato a Regioni, Province e Comuni arriva a 169 miliardi. Da questo calcolo resterebbe in ogni caso un 'buco' di 22 miliardi di risorse da trasferire. Infatti l'Isae fornisce una quantificazione che indica "per il 2004 un vertical imbalance, riguardo alle imposte e spese da decentrare di oltre il 31%. La massa delle imposte da decentrare (accise sui prodotti energetici, patrimonio, tabacchi), però, "fornisce solo 48 miliardi dei 70 di spese che l'Isae ha stimato debbano essere 'spostate' passando dalla titolarità statale a quella locale".

 

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