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Le cosche condizionavano il comune di Condofuri, 26 arresti, tra loro ex assessore

 

Le cosche condizionavano il comune di Condofuri, 26 arresti, tra loro ex assessore

15 apr 10 Operazione congiunta di carabinieri e polizia nella notte nel reggino per l’esecuzione di 26 ordinanze di custodia cautelare in carcere, nei confronti di altrettante persone accusate di fare parte della cosca Rodà-Casile, operante nei territori dei comuni di Condofuri e San Lorenzo e che avrebbe cercato anche di condizionare le decisioni dell’Amministrazione comunale di Condofuri in carica dal 2004 al 2009. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, detenzione e porto abusivo di armi e munizioni, violenza e minaccia a pubblico ufficiale. Secondo quanto emerso dalle indagini, coordinate dalla Dda reggina, la cosca Rodà-Casile aveva una vera e propria strategia di controllo del territorio finalizzata all'imposizione del racket a danno degli operatori economici del comprensorio, all’aggressione degli appalti pubblici promossi dal Comune di Condofuri, al traffico di armi e munizioni, al condizionamento dell'Amministrazione comunale. In manette è finito anche un assessore del Comune di Condofuri. Si tratta di Filippo Rodà, (nel riquadro) assessore ai Lavori pubblici. Le indagini avrebbero accertato l’ingerenza della 'ndrangheta anche nelle elezioni amministrative del 6 e 7 giugno 2009. In particolare gli investigatori, secondo quanto si è appreso, avrebbero accertato che la cosca era riuscita non solo ad inserire la candidatura di un 'proprio uomo' ma anche a fargli raccogliere un tale numero di preferenze da farlo risultare primo degli eletti. Un risultato che ha poi indotto il sindaco, che risulta estraneo all’inchiesta, a nominare Rodà assessore ai Lavori pubblici.

Dalla polizia sono stati arrestati: Bruzzese Francesco 52 anni, Candido Concetto 63 anni, Fascì Lorenzo 27 anni, Foti Domenico 52 anni, Iaria Maurizio 35 anni, Manti Carmelo 56 anni, Miceli Pietro 55 anni, Poerio Filippo Antonio 48 anni, Rodà Filippo 55 anni. (Eseguiti 9 su 11 ordini di cattura, tre sono ricercati)

Questi gli arresti dei carabinieri che hanno eseguito 11 delle 14 ordinanze di custodia cautelare, tre persone sono attivamente ricercate: Altomonte Antonino 33 anni, Altomonte Filippo 66 anni, Altomonte Giovanni 55 anni, Ollio Francesco 34 anni, Poerio Daniele Filippo 24 anni, Poerio Pietro 25 anni, Pontari Ernesto 47 anni, Romeo Leo 30 anni, Stilo Vincenzo 28 anni, Vitale Giuseppe 31 anni, Caridi Domenico 40 anni

Video: le cosche nel comune

All’alba di oggi, all’esito di investigazioni delegate, condotte congiuntamente dalla Squadra Mobile reggina, diretta dal primo dirigente Renato Cortese, e dal Commissariato di Pubblica Sicurezza di Condofuri (RC) diretto dal vice questore aggiunto Filippo Leonardo, per la Polizia di Stato, e dal Reparto Operativo (diretto dal colonnello Carlo Pieroni) – Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Reggio Calabria e della Compagnia di Melito Porto Salvo (RC) diretta dal capitano Onofrio Panebianco, per l’Arma dei Carabinieri, con sofisticati presìdi tecnologici ed attività operative, è stata data esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip presso il Tribunale di Reggio Calabria, Santo Melidona, su richiesta del Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone, del Sostituto Procuratore della Repubblica Antonio De Bernardo della Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, a carico di 26 (ventisei) indagati, destinatari della misura personale, ritenuti responsabili – con condotte e contributi causali diversificati – di associazione di tipo mafioso (poiché ritenuti organici alle ‘ndrine Rodà-Casile operanti nel “Locale” di ‘ndrangheta di Condofuri), estorsione, danneggiamento, detenzione e porto abusivo di armi e munizioni, violenza e minaccia a pubblico ufficiale.
I soggetti colpiti dai provvedimenti sono residenti nei Comuni di Condofuri e San Lorenzo della Provincia di Reggio Calabria. La cosca Rodà-Casile aveva una vera e propria strategia di controllo del territorio, l’evoluzione dell’attività investigativa, ha delineato le finalità principali della compagnia criminale:

  • acquisizione del controllo del territorio tramite l’imposizione del “pizzo” a carico degli operatori economici del comprensorio;
  • ingerenza grave e determinante negli appalti pubblici promossi dal Comune di Condofuri;
  • traffico di armi e munizioni;
  • condizionamento delle decisioni dell’amministrazione comunale in carica dal 2004 al 2009.

Ingerenza nelle elezioni

È stata documentata l’ingerenza della ‘ndrangheta anche nelle elezioni amministrative del 6 e 7 giugno 2009 a Condofuri. Le investigazioni hanno permesso di accertare che il sodalizio mafioso era riuscito non solo ad inserire la candidatura di un “proprio uomo” – l’indagato Rodà Filippo, stamane tratto in arresto – nell’elenco degli eleggibili, ma anche a fargli raccogliere un tale numero di preferenze (il soggetto risulterà il primo degli eletti) da indurre il neo eletto Sindaco a conferirgli la delega ai Lavori Pubblici del Comune. Vi è di più, la candidatura di Rodà era stata “programmata” fin due anni prima delle elezioni. La zona di influenza di tale sodalizio di tipo mafioso si è rilevata quella corrispondente al territorio di Condofuri, nel basso versante jonico della provincia di Reggio Calabria, nella locride. Di qui la denominazione dell’operazione antimafia: “Konta Korion”, ovvero Condofuri, nell’idioma grecanico parlato in queste zone ad altissima densità mafiosa. L’associazione, poi, si è rivelata consorziata con analoghi gruppi criminali diversamente radicati nelle zone della Locride, quali le ‘ndrine Morabito-Bruzzaniti-Palamara di Africo, Maesano-Pangallo-Zavettieri-Paviglianiti di Roghudi-Roccaforte del Greco, Vadalà e Talia di Bova.

Le indagini della Polizia

L’attività investigativa trova la sua origine nell’incendio di un escavatore di un’impresa di movimento terra, verificatosi nel novembre 2004, che, all’epoca dei fatti, operava nel Comune di Condofuri per dei lavori. Progressivamente le attività hanno disvelato l’esistenza di un “comitato d’affari” operante nel comprensorio di Condofuri che gestiva l’aggiudicazione degli appalti pubblici della zona. Tale “comitato” costituiva espressione di una consorteria criminale mafiosa al cui vertice trovavano collocazione gli indagati Bruzzese Francesco e Candido Concetto Bruno, capi del sodalizio e soggetti dotati di un notevole spessore criminale, acquisito grazie alla pregressa militanza nelle cosche locali. Costoro, con funzioni di direzione ed organizzazione, assumevano le decisioni più rilevanti, impartivano disposizioni o sanzioni agli altri associati a loro subordinati, decidevano chi affiliare, partecipando ai riti, ed attribuivano “cariche” di tipo ’ndranghetistico ad altri affiliati; curavano i rapporti con altre consorterie, dirimendo i contrasti interni o esterni, controllando il settore degli appalti pubblici anche per il tramite di imprenditori di riferimento. Nell’ambito dei ruoli svolti da ciascun sodale, centrali erano le figure di Rodà Filippo e Iaria Maurizio. Il primo, nella qualità di referente politico del sodalizio del suddetto comitato d’affari, forniva il proprio indispensabile contributo quale Assessore in carica ai Lavori Pubblici al Comune di Condofuri (RC), eletto in una Lista civica facente riferimento alla coalizione di centro-sinistra. Il secondo, quale geometra e quindi “tecnico” dotato di esperienza nel settore, curava l’aspetto burocratico e amministrativo del comitato, in grado di orientare le gare, di tenere i contatti con soggetti della P.A. e garantire, quindi, il necessario sostegno per l’aggiudicazione dei suddetti appalti. Iaria Maurizio rappresentava il trait d’union tra le ditte aggiudicatarie collegate alla consorteria criminale oggetto delle investigazioni e la pubblica amministrazione, fungendo quindi da coordinatore di tutte le attività connesse. Collegati allo Iaria, Gli indagati Manti Carmelo, del posto, anch’egli titolare di un’impresa che opera nel settore di impianti per inerti e affini in Condofuri, Fascì Lorenzo, Candido Concetto e Bruzzese Francesco.

Due società di ndrangheta che condizionavano il Comune

Il sodalizio mafioso disarticolato con gli arresti di stamane della Polizia di Stato e dei Carabinieri era, poi, organizzato, a riscontro dei canoni riportati nelle storie di ’ndrangheta, in una doppia strutturazione interna. “Società minore” e “ Società maggiore”, attraverso una suddivisione “verticale” tra “maggiore” – di cui facevano parte gli esponenti più anziani e con una pregressa militanza nelle cosche della fascia jonica reggina – e “minore” – di cui facevano parte gli esponenti di più recente affiliazione. Parallelamente, il sodalizio era organizzato a mezzo di una suddivisione “orizzontale” tra gruppi criminali diversamente radicati sulle varie porzioni del territorio sul quale insiste l’associazione, gruppi federati, che si riconoscono reciprocamente quali realtà criminali, che compongono dissidi, che si danno obiettivi, strutture e regole comuni. Detto sodalizio era anche in grado di influire sulle decisioni della precedente Amministrazione Comunale di Condofuri; si è appurato, infatti, come il potere intimidatorio del sodalizio avesse addirittura indotto l’amministrazione comunale allora in carica a non perfezionare l’iter di acquisizione al patrimonio dell’ente di una serie di beni, tra i quali uno di proprietà di un membro del sodalizio mafioso, sottratti agli interessati con sentenza definitiva per reati di materia di lottizzazione abusiva, adottando studiate strategie dilatorie per rimandare sine die le formalità.

Una lista per le elezioni

Ultimo, ma non meno importante, aspetto emergente dalle indagini si concreta nell’attività di organizzazione di una delle liste in lizza per le elezioni amministrative 2009 (viene sponsorizzata dai sodali una candidatura in particolare, figura a loro dire “pulita” che non avrebbe attirato l’attenzione delle Forze di Polizia sul territorio; costui sarà eletto con un plebiscito di voti, risultando il primo eletto della lista e nominato, in seno all’attuale amministrazione comunale, assessore ai Lavori Pubblici) e, successivamente, nella canalizzazione delle preferenze sulla stessa, risultata poi vincente. A tal proposito occorre puntualizzare che le possibili infiltrazioni mafiose in seno all’attuale amministrazione comunale di Condofuri erano state portate tempestivamente all’attenzione della Prefettura di Reggio Calabria che ha proposto, ottenendola, la nomina di una commissione d’accesso i cui lavori sono attualmente in corso.

Le indagini dei Carabinieri

Per i carabinieri l’attività investigativa trova la sua origine nell’incendio di un escavatore della ditta “EDIL B&B” dei fratelli Borgia di Sant’Agata del Bianco (impresa di movimento terra che all’epoca dei fatti operava in località Rodì del comune di Condofuri per dei lavori di sbancamento) verificatosi alle 21.30 del 07.04.2007. Le indagini avviate nell’immediatezza, consentivano di inscrivere da subito quel danneggiamento nell’alveo di una messa in atto da un sodalizio mafioso operante su parte del territorio di Condofuri. Infine, è stata documentata, l’ingerenza della ‘ndrangheta anche nelle elezioni amministrative del 6 e 7 giugno 2009 in Condofuri; si è appurato che il sodalizio mafioso era riuscito non solo ad inserire la candidatura di un “proprio uomo” nell’elenco degli eleggibili, ma anche a fargli raccogliere un tale numero di preferenze (il soggetto risulterà il primo degli eletti) da indurre il nuovo capo dell’amministrazione comunale a conferirgli la delega ai Lavori Pubblici del Comune. Le indagini avviate nell’immediatezza dei fatti, consentivano di inscrivere da subito quel danneggiamento nell’alveo di una strategia di controllo del territorio messa in atto da un sodalizio mafioso operante su parte del territorio di Condofuri (sulle frazioni Marina, San Carlo e Condofuri centro) organizzato, a riscontro dei canoni riportati nelle storie di ‘ndrangheta, in una doppia strutturazione interna: “società minore” e la “società maggiore”. Gli esiti delle indagini hanno, dunque, documentato non solo i due “sottoinsiemi mafiosi” (l’esistenza delle due parti di una stessa struttura mafiosa verticistica) e dato conto di come la cosca fosse in grado, avvalendosi dei propri sodali, di svolgere a proprio favore attività di proselitismo tra i giovani “degni del battesimo” (in possesso, cioè, dei requisiti necessari per accedere all’”onorata società ‘ndranghetistica”), stabilire ed impartire le cariche, indicandone i compiti, ma anche capace di organizzarsi sul territorio in modo da esercitare sullo stesso un controllo anche fisico, di presidio del territorio, necessità impostasi per scongiurare o, alla bisogna, contrastare sgradite influenze di estranei al territorio. Uno degli accoliti, in una conversazione captata in intercettazione ambientale a bordo di un’autovettura, commentando le determinazioni della cosca in tema di presidio della “loro zona” esterna delle perplessità sulla qualità della pianificazione dei servizi di ronda, sostenendo che pochi erano gli affiliati che si prestavano a tale attività e che la cosca avrebbe dovuto investire maggiori risorse umane nel particolare settore, rievocando, quasi romanticamente, i tempi passati quando la cosca “c’era e si vedeva”. Si è avuto modo di costatare, altresì, il particolare fascino che l’appartenere alla cosca viene esercitato sui giovani aspiranti ed il conseguente scoramento nell’apprendere che uno di loro non avrebbe potuto entrare a farvi parte; a tal proposito un membro della società maggiore, dotato del potere di veto nell’ambito della stessa, si esprime sfavorevolmente a riguardo della possibilità di concedere il battesimo (o “taglio della coda”) ad un aspirante picciotto poiché reo di avere un passato nel Corpo delle Capitanerie di Porto “…già ha sbagliato per quello che ha fatto (si riferisce all’aver prestato servizio in Capitaneria di Porto, n.d.r.); uno che va nella capitaneria e firma per due anni, quando si congeda automaticamente lo devono graduare, diventa sergente o caporale…i gradi solo nella ‘ndrangheta ci sono…”.

Le armi

La cosa mafiosa si avvaleva, inoltre, della disponibilità di armi (anche da guerra, armi automatiche capaci di sparare a raffica “…partono quaranta botte alla volta…”) e munizioni, come verificato costatando i danneggiamenti dei segnali stradali che si sono susseguiti nel tempo, compiuti dagli affiliati a titolo di esercitazione a fuoco “…ogni crispella (squarcio n.d.r.) in questi cartelli…”. In relazione alle munizioni è stato anche individuato colui che svolgeva il ruolo di produttore/fornitore di munizionamento. Si tratta di un soggetto di Condofuri che, in possesso di attrezzature adeguate e materia prima (se ne approvvigionava anche attraverso il mercato lecito del circuito delle armerie della zona) necessaria alla costruzione (bossolame, polvere nera, ogive e capsule), si adoperava al servizio della cosca per fornire munizionamento nel calibro e quantità di volta in volta commissionati.

Le estorsioni

Importante anche la pressione che il sodalizio imponeva attraverso il racket delle estorsioni sugli esercenti del commercio della zona ma anche e più pesantemente sulle ditte di movimento terra, trasformazione di inerti e lavorazione dei calcestruzzi presenti sul territorio lungo il corso della fiumara Amendolea. In questo settore la cosca era capace di “mandare messaggi eloquenti” agli estorti attraverso danneggiamenti, colloqui intimidatori ed altri atti di chiara matrice estorsiva, tutte attività finalizzate a rendere chiaro il potere della cosca sul territorio. Gli accoliti parlano di “contributo” che le ditte della zona dovevano alla cosca, sottolineando anche la possibilità che in presenza di inadempienze sarebbe stata necessaria la reazione della consorteria “…fino ad ora gli abbiamo lasciato gli spazi. Oggi basta, chi viene deve dare il contributo…”. I risultati conseguiti, però, non possono mettere in secondo piano le difficoltà incontrate iter durante; a parte la scontata tradizionale diffidenza dei personaggi di maggiore spessore criminale alle conversazioni a telefono o a bordo di veicoli, è stato anche riscontrato che l’associazione poteva avvalersi di tecnici compiacenti in possesso di strumentazioni in grado di rilevare la presenza di microspie e consentirne la loro disattivazione.

Procuratore Pignatone "Non ne vale la pena per 1000 euro al mese"

"Non ne vale proprio la pena". Questo il commento del Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, che oggi ha illustrato i risultati conseguiti. Le parole del Procuratore, in particolare, si riferiscono a un particolare episodio che è stato registrato dalle intercettazioni. Alcune delle persone raggiunte dalle odierne misure cautelari, guardando la tv, commentavano con aria di ammirazione la notizia appresa al tg che il boss mafioso Lo Piccolo pagava i suoi sodali 1000 euro al mese. "Ancora una volta – ha affermato Pignatone – ciò fa comprendere che a guadagnarci siano sempre in pochi, la manovalanza della ‘ndrangheta vede come un miraggio la cifra di mille euro, che nemmeno riesce a percepire. Senza pensare alle conseguenze che tutto ciò comporta. Per una manciata di soldi non vale la pena di rovinarsi la vita per sempre".

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