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Poche imprese calabresi esportano all'estero

 

Indagine Eurispes: Poche imprese calabresi hanno scambi con l'estero

11 mar 09 Pochissimi gli imprenditori che hanno scambi commerciali con l'estero. Dimensioni aziendali ridotte, carenze formative ed organizzative tra le cause principali. Sono questi alcuni dei dati che emergono da una ricerca dell'Eurispes della Calabria sul sistema delle imprese. "L'internazionalizzazione - ha detto il presidente dell'Eurispes Calabria, Raffaele Rio - risulta ancora appannaggio di pochissime imprese, per cui la quasi totalità degli operatori economici locali, molto probabilmente non avvertendo tuttora il bisogno di sostenere i processi di internazionalizzazione, né si espandono né si aprono ai mercati esteri. L'intensificarsi della competizione su scala mondiale ha portato, nell'ultimo decennio, un numero sempre maggiore di imprese minori a ricercare nuove opportunità sui mercati internazionali. Oggi l'internazionalizzazione non è più solo una modalità con cui l'impresa crea valore, estende il proprio vantaggio competitivo ed accede a nuove opportunità, ma, nell'attuale contesto economico, è una via obbligata per la sopravvivenza ed il successo dell'impresa nel tempo. Per l'impresa, - ha concluso Raffaele Rio - l'internazionalizzazione é una decisione complessa, accompagnata da un processo di trasformazione aziendale, spesso irreversibile, che riguarda, tra gli altri, gli assetti finanziari, la struttura organizzativa e tecnica, il posizionamento sul mercato e la gestione delle risorse umane".

IMPORT/EXPORT: solo il 5,8% lavora con l'estero. L'indagine continuativa svolta dall'Eurispes attraverso l'utilizzo dei consueti indicatori (mercato di sbocco, rapporti commerciali con aziende estere e incidenza delle esportazioni sul totale delle vendite), non segnala alcuna evoluzione: l'analisi dei dati dell'ultima rilevazione di fine 2008, evidenzia che per circa l'80% delle imprese locali il principale mercato di sbocco resta il territorio provinciale, di cui ben il 65,2% di queste riserva ad esso metà del proprio fatturato e il 14,3% una parte rilevante e, rispetto al triennio precedente (2005-2007), tale tendenza si accentua ulteriormente. Dal campione intervistato si evince, inoltre, che solo il 14,3% (somma delle modalità di risposta "per una parte rilevante" e "in prevalenza") si rivolge prevalentemente al mercato regionale e a quello nazionale. Infine, soltanto il 5,8% delle aziende campionate sostiene d'essere presente principalmente sui mercati extranazionali (europei ed extraeuropei) e, considerando le variazioni intercorse nel periodo 2005-2007, risultano in calo di quasi un punto percentuale (nel 2005 erano pari al 6,6%).

PERCHE' NON INTERNAZIONALIZZANO: dimensioni ridotte, difficoltà organizzative e rischi elevati tra le principali criticità. Approfondendo ulteriormente l'analisi appare interessante rilevare le principali motivazioni che sono alla base della scelta ad operare o meno nei mercati internazionali, esaminando prima il sottocampione delle aziende non internazionalizzate e successivamente quelle che hanno dichiarato di intrattenere rapporti con operatori esteri. Quasi un'azienda su tre (31,3%) è del parere che le dimensioni ridotte rappresentano il principale ostacolo all'internazionalizzazione. Spesso si argomenta che dimensioni aziendali ridotte se da un lato conferiscono maggiore flessibilità al sistema, dall'altro, limitano l'efficienza, rendono più difficile lo sviluppo di prodotti e tecniche innovative e possono condizionare la natura e le modalità di internazionalizzazione delle imprese e la loro capacità di competere sui mercati extranazionali. Quasi un'azienda su cinque (17,9%) ritiene poi che siano i problemi organizzativi i principali ostacoli da affrontare e superare per chi vuole affacciarsi sui mercati esteri, problemi legati al riassetto della struttura organizzativa e tecnica, al posizionamento sul mercato, alla nuova gestione delle risorse umane. Il 16% ritiene estremamente rischioso internazionalizzare, rischio avvertito in termini di maggiori investimenti, maggiori costi e reperimento di nuove risorse finanziarie. Scorrendo la graduatoria una percentuale non trascurabile, pari al 10,1%, pone in evidenza ancora la complessità dell'iter procedurale che caratterizza i processi di scambio internazionale e a cui le imprese sembrano non essere preparate. Di secondaria importanza appaiono gli altri fattori elencati, quali la difficoltà ad individuare interlocutori esteri (3,7%), i problemi finanziari (3,4%) la difficoltà di reperire competenze manageriali e tecniche (3,4%) e la scarsa conoscenze delle lingue (1,5%). Perché internazionalizzo: necessità, crescita e acquisizione di nuove competenze. Oltre la metà delle aziende che hanno scambi commerciali con l'estero (52%), ha dichiarato di fare import/export fondamentalmente "per necessità", per far fronte cioé alla crescente aggressività della concorrenza delle economie di recente industrializzazione. Dall'indagine condotta emerge altresì che più di un'azienda su quattro (il 28% delle imprese che internazionalizzano) dichiara di operare con l'estero soprattutto come opportunità di crescita dimensionale. La dimensione di impresa potrebbe essere endogena rispetto alla decisione di internazionalizzazione; in altre parole non sarebbe chiaro se le imprese si internazionalizzano perché sono grandi o diventano grandi perché si internazionalizzano. Minore la percentuale di soggetti, il 12%, che dichiarano di operare con l'estero in maniera indiretta per via dei rapporti con altre realtà esportatrici e, infine, ancora più ridotto è il numero di soggetti (8%) che indica come principale ragione le possibilità di crescita tecnologica e qualitativa.

 

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