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Il 28% degli imprenditori di Catanzaro pagano il pizzo

 

Confindustria Catanzaro denuncia: il 28% delle imprese paga il pizzo. Maroni obbliga imprese alla denuncia nel ddl sicurezza

20 giu 08 Il 28% degli imprenditori di Catanzaro ammette di aver pagato il pizzo, anche se solo il 30% ha risposto al questionario; il 49% di chi ha ricevuto minacce ha sporto denuncia e, di questi, solo il 18% dichiara di aver ricevuto una risposta soddisfacente dalle istituzioni. In questi tre dati si riassume un'indagine su estorsioni e usura, realizzata dalla Confindustria di Catanzaro. I questionari sono stati sottoposti in forma totalmente anonima agli imprenditori, ma solo il 30% ha voluto rispondere. I risultati sono stati presentati nel corso di un dibattito in Prefettura al quale sono intervenuti il prefetto di Catanzaro, Salvatore Montanaro, il presidente di Confindustria Catanzaro, Giuseppe Speziali, e il procuratore nazionale aggiunto Antimafia, Emilio Ledonne. I dati, secondo quanto e' stato riferito, dimostrano la marginalita' del numero delle denunce rispetto all'incidenza del fenomeno. Gli imprenditori spesso dichiarano di sentirsi abbandonati dalle istituzioni, anche quando denunciano, e in molti casi cedono alla criminalita'.

Prefetto Montanaro “Illegalità diffusa in Calabria”. "Racket e usura sono le forme tipiche attraverso cui si esprime la criminalità organizzata. Trovano le radici in quella cultura dell'illegalità che è diffusa in questa terra e che frena la libertà d'impresa". A dirlo è stato il prefetto di Catanzaro, Salvatore Montanaro, durante la presentazione dell'indagine realizzata da Confindustria su estorsione e usura. "Lo Stato - ha aggiunto Montanaro - deve impegnarsi per stare vicino a chi ha il coraggio di denunciare, ma non sono sufficienti la prevenzione e la repressione senza il contributo delle denunce degli imprenditori". "In questo quadro nero che emerge dall'indagine - ha detto ancora il prefetto - ci sono delle luci, rappresentate da coloro che hanno risposto di non volersi piegare la prima volta al racket, perché questo avrebbe significato, da allora in poi, farlo per sempre. Un altro aspetto positivo è rappresentato dai dati relativi al triennio 2006-2008 che sono in mio possesso. Le 144 denunce del 2006 sono diventate 94 l'anno dopo e nella prima metà del 2008 sono scese a 38. Anche se mi rendo conto che il dato delle denunce sia sempre relativo per definire la situazione del racket, sento di poter dire che il fenomeno, seppur preoccupante, è attualmente sotto controllo". Il presidente di Confindustria Catanzaro, Giuseppe Speziali, dal canto suo, ha evidenziato che "l'imprenditore che denuncia un episodio di racket qui in Calabria ha la sensazione di sentirsi solo. Serve più tutela per chi è vittima di questo reato". "E' grave - ha proseguito - che chi denuncia non abbia la sensazione che ci sia la certezza della pena per il colpevole che viene identificato e arrestato. Devo ammettere, però, che nell'ultimo periodo la magistratura e le forze dell'ordine, con diverse operazioni, stanno facendo capire agli imprenditori che oggi si può stare da una sola parte, quella dello Stato. Ma non basta la tutela fisica. L'imprenditore vittima di usura, infatti, trova le porte chiuse dappertutto, a partire dagli istituti bancari che non sono più disposti a concedere prestiti. I fondi speciali per queste categorie possono essere una buona soluzione a questo problema". Il procuratore nazionale antimafia aggiunto Emilio Ledonne ha rilevato come dalla ricerca emergono una zona di luce e una d'ombra. "La zona d'ombra - ha sostenuto - è rappresentata dalla solitudine e dalla sfiducia che si evince dalle risposte degli imprenditori. La zona di luce è quel 18% che ha detto di essere rimasto soddisfatto delle risposta dello Stato dopo la denuncia". "Mi piace - ha aggiunto Ledonne - distinguere gli imprenditori in tre categorie: i coraggiosi, ovvero coloro che trovano la forza di denunciare; le vittime, coloro che si arrendono perché pagando pensano di avere una protezione che non hanno richiesto, e i collusi, coloro che fanno affari con l'anti-Stato e poi chiedono allo Stato privilegi e agevolazioni. A quest'ultima categoria appartengono anche quelle imprese del nord che vengono in Calabria, si informano e decidono di appaltare i lavori alle aziende che possono piacere alla mafia". Ledonne ha quindi invocato la certezza della pena che, ha detto, "in alcuni casi è risibile: si può essere condannati a sei anni di reclusione per concorso in associazione mafiosa e poi scontarne molti meno perché all'improvviso si diventa tutti bravi ragazzi. Molti non sanno che l'anno dei detenuti dura nove mesi invece che dodici, perché gli altri tre spariscono per buona condotta. L'altra stortura del nostro sistema è la lungaggine dei processi. E' fondamentale, inoltre, una pena pecuniaria in modo da poter impoverire i patrimoni. Spero, infine, che sia eliminato il patrocinio gratuito per i mafiosi: é una vergogna che lo Stato paghi la loro difesa".

Il Ministro Maroni obbliga le imprese alla denuncia. Obbligo di denuncia per le vittime del pizzo. Sanzione amministrativa per chi non lo fa. E' un emendamento che sarà presentato al disegno di legge sulla sicurezza che giovedì prossimo inizierà l'iter parlamentare. Ad annunciare il suo sostegno alla norma è stato il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, nel corso della settima Convenzione delle associazioni antiracket e antiusura. Per meglio definire l'emendamento, Maroni - che nel 1994, alla sua prima esperienza come ministro dell'Interno, creò il Commissariato straordinario antiracket - si incontrerà la settimana prossima con il procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso e le associazioni antiracket. "Può essere - secondo il ministro - una buona proposta, occorrerà prevedere sanzioni efficaci". Ma accanto alle leggi, ha sottolineato, "ci vuole anche la risposta della società civile, bisogna dire un no forte a chi chiede di pagare il pizzo. Questa coscienza si è diffusa negli ultimi anni e si tratta di una strada vincente". "Il contrasto al racket - ha sostenuto da parte sua il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano - deve proseguire senza cedimenti". Mantovano ha quindi auspicato criteri omogenei tra le varie prefetture nei tempi di elargizione dei risarcimenti alle vittime ed un'intensificazione della protezione in loco per chi denuncia gli estorsori. Il fenomeno, ha ricordato il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, "non è presente solo al Sud, ma anche in tante realtà al Nord e bisogna colpire la connivenza da parte delle imprese". Quanto alla protezione delle vittime, secondo il procuratore, "la legge che richiede l'abbandono dell'attività e l'allontanamento in luoghi segreti per chi denuncia, non produce risultati sperati: occorre invece fornire il più possibile protezione sul posto". Segnali incoraggianti arrivano comunque dai territori in prima linea contro il racket. "In Sicilia, ma non solo - ha fatto sapere il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello - sta cambiando la percezione sociale del fenomeno racket. Prima veniva considerato con indifferenza, e in qualche caso con complicità e le stesse imprese vedevano il pizzo come una sorta di costo sociale. Ora - ha aggiunto - ci sono ancora imprese che pagano il pizzo, ma il trend di quelle che collaborano è in continua crescita ed è irreversibile". Infine, dà forfait uno dei protagonisti storici della guerra al pizzo, Tano Grasso, presidente onorario della Fai (Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane). "Ci sono momenti - ha detto Grasso - in cui è bene, soprattutto nell'interesse del movimento, farsi da parte, ritirarsi dalla prima linea. E' quello che mi accingo a fare dopo quasi venti anni di impegno assoluto: nessuno dovrà sentirsi indebolito, ma è indispensabile un sostanziale defilarmi dalla vita della Fai perché il nuovo gruppo dirigente possa crescere e svilupparsi. Continuerò - ha assicurato - il mio impegno dalle retrovie, darò il mio contributo da un'altra posizione, ma non sarò più, soprattutto nella dimensione pubblica, il punto di riferimento del movimento".

 

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