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      Lectio magistralis del prof. Zaffaroni a Palazzo dei Bruzi

       

       

      Lectio magistralis del prof. Zaffaroni a Palazzo dei Bruzi

      22 mag 25 Una lectio magistralis sul significato e la funzione della pena e se ha un senso ancora oggi. Interrogativi ai quali, dall'alto della sua esperienza di insigne giurista ed accademico di chiara fama, ha tentato di dare spiegazioni il prof.Eugenio Raul Zaffaroni, professore emerito di diritto penale e criminologia all’Università di Buenos Aires, già giudice presso la Corte Suprema argentina e la Corte Interamericana dei Diritti Umani. A propiziare questa importante occasione di confronto con quello che può essere considerato il più illustre rappresentante delle discipline penalistiche in America Latina, è stata una felice combinazione sinergica tra l'Amministrazione comunale di Cosenza, guidata dal Sindaco Franz Caruso, l’Accademia Cosentina, con il suo vulcanico Presidente, Antonio D'Elia e l’Università della Calabria con l’Istituto interdipartimentale di Studi Penalistici “Alimena”, diretto dal prof.Mario Caterini. All'incontro con il prof.Zaffaroni, tenutosi nel salone di rappresentanza di Palazzo dei Bruzi, presente un pubblico attento, numeroso e molto interessato alla lectio magistralis dell'insigne giurista, hanno preso parte anche il prorettore dell’Unical, professor Francesco Scarcello ed il Segretario Perpetuo dell'Accademia Cosentina, Prof.Mario Iazzolino. A fare gli onori di casa e ad introdurre il prof.Zaffaroni è stato il Sindaco Franz Caruso che ha considerato il tema della lectio magistralis “particolarmente significativo e attuale e che interessa non solo chi svolge la professione di magistrato, avvocato e cultore del diritto, ma anche chi segue con attenzione quella che è l'evoluzione di un aspetto del processo penale che non sempre viene tenuto nella debita considerazione dall'opinione pubblica, ma che, invece, ha risvolti assolutamente importanti”. Franz Caruso ha anche, nel porsi l'interrogativo al centro dell'incontro “La pena ha senso?”, ricordato il problema del sovraffollamento nelle carceri e gli stati di sofferenza della popolazione carceraria all'interno degli istituti di pena. “Sappiamo anche qual è – ha aggiunto Franz Caruso - il nostro dettato costituzionale, in particolare l'art.27 della Costituzione che fissa alcuni principi cardine del nostro sistema giudiziario. La pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Tutti gli interventi che ci sono stati nel corso di questi anni vanno in questa direzione. Noi dobbiamo ritornare ai valori della Costituzione e tra questi c'è appunto l'articolo 27 che racchiude tre fondamentali valori: la libertà penale che è personale, la presunzione di innocenza e la rieducazione del condannato. Nella mia duplice funzione di Sindaco della città di Cosenza e di operatore del diritto che pratica ancora, per via della professione, da più di quarant'anni le aule di giustizia – ha aggiunto Franz Caruso nel suo intervento - ritengo che questa sia un'occasione unica per sentire dalla voce di un protagonista, ma soprattutto di uno studioso di questa materia, quello che è il significato della pena. Abbiamo voluto affrontare questo aspetto del nostro sistema giudiziario che è appunto la pena, la parte finale di un processo, e Francesco Carnelutti diceva che “già il processo è pena”. Già nel secolo scorso un giurista di chiara fama come Carnelutti dava una valutazione sintetica sul significato della pena per il nostro sistema giudiziario. La funzione rieducativa della pena – ha proseguito il Sindaco - ha caratterizzato anche molti interventi innovativi nella nostra legislazione, nella quale sono stati inserite molte misure alternative alla pena, come il lavoro all'esterno, l'affidamento in prova ai servizi sociali, la semilibertà, la liberazione condizionale, misure tutte che affievoliscono la funzione retributiva della pena e tendono appunto alla rieducazione del condannato. Il prof.Zaffaroni ha esperienza e competenza tali da per tracciare insegnamenti e indirizzi per l'evoluzione futura di questo aspetto importante del nostro processo”. Al termine della lectio magistralis il Sindaco Franz Caruso ha consegnato al professore emerito dell'Università di Buenos Aires il sigillo della città. “Un riconoscimento – ha concluso il Sindaco - offerto ad una personalità illustre come noi facciamo con tutti coloro i quali vengono nella casa comunale a incontrare le istituzioni, ma anche, come in questo caso, a tenere una lectio magistralis. Lo offriamo come segno di riconoscenza dell'attenzione che si è avuta per Cosenza, l'Atene della Calabria e, nel suo piccolo, una culla del diritto, che ha avuto nomi di rilievo nazionale ed un foro e un tribunale sempre punti di riferimento significativi per la giustizia calabrese e non solo”. Ad introdurre la lectio del prof.Zaffaroni, il Presidente dell'Accademia cosentina, Antonio D'Elia, che ha poi consegnato all'illustre ospite la pergamena di Accademico onorario. D'Elia ha evidenziato il forte legame dialogico tra “io- tu- noi”, presente nella dialettica performatrice dell’ermeneutica del professore Zaffaroni: “la pena ha senso se si qualifica quale azione di incremento dell’io. Ma anche questo non può bastare. Ci vuole dialogo interno ed esterno all’io”. Il prof.Zaffaroni ha ringraziato il Sindaco Franz Caruso per l'accoglienza ricevuta nella casa comunale “perché il Municipio – ha detto - è la culla della democrazia, La democrazia incomincia proprio dal Municipio”. Quindi è entrato nel vivo della lectio magistralis. “So bene – ha esordito - che ci sono tanti colleghi di altri tempi che dicevano che la pena non ha nessun senso o che la maggior parte delle pene non hanno senso”. Un riferimento agli abolizionisti, come il criminologo olandese Louk Hulsman, fautore dell'abolizione del sistema carcerario. “E' stato diverse volte a casa mia, dove restava settimane intere”. Poi, con un forte richiamo all'attualità, “non sappiamo cosa accadrà e se siamo alle porte della terza guerra mondiale o della distruzione delle foreste e del clima e delle condizioni di vita umana sul pianeta”, ha precisato che “il nostro mestiere – quello dei penalisti - è interpretare le leggi vigenti, il diritto positivo. La giurisprudenza è formata da sentenze e queste sono atti di governo. La funzione della pena deve essere calata nella realtà. I civilisti sanno qual è la funzione della sanzione civile, come la riparazione o la restituzione, così come lo sanno gli amministrativisti. Noi, invece, discutiamo la funzione della nostra sanzione e scegliamo la funzione che ci piace. Questo è il grande problema”. Quindi ha fotografato la realtà latinoamericana nell'esercizio del potere punitivo “che è diversa dalla vostra : il 90% dei carcerati sono giovani, provenienti da quartieri poveri, con pochissima istruzione, senza una specializzazione al lavoro e fanno delle cose primitive, come rubare i telefonini o commettere altri delitti contro la proprietà, una delinquenza, insomma, di sopravvivenza primitiva. I fenomeni si vedono con maggior chiarezza perché sono brutali: le carceri sono sovraffollate e dove si perde il controllo interno, mentre l'indice degli omicidi è esageratamente alto”. Zaffaroni ha richiamato anche le teorie del brasiliano Tobias Barreto che nel tratteggiare la funzione reale della pena “ha detto una cosa veramente stupefacente, ma l'ha detta prima del diritto internazionale umanitario: “non giustificate la pena, ma se volete giustificarla, dovete giustificare la guerra, perché la pena e la guerra non sono fatti giuridici, ma fatti politici”. “Oggi il diritto internazionale – ha proseguito Zaffaroni - non si interroga se una guerra è giusta o ingiusta. Gli internazionalisti hanno avuto un momento di umiltà che i penalisti non abbiamo ancora avuto. Bisogna dare una limitazione razionale a un fatto che razionale non è. E' arrivato il momento di farlo. Immaginare la funzione della pena non è il nostro mestiere. Dobbiamo riconoscere la realtà del potere politico. Il problema del nostro tempo non è progettare Stati, è ottenere l'efficacia delle norme costituzionali e delle norme internazionali. Dobbiamo continuare ad interpretare la legge penale, non a sognare, dobbiamo progettare un esercizio di potere della giurisdizione che porti ad un controllo più o meno razionale, ma almeno ragionevole dell'esercizio del potere punitivo. Se non limitiamo l'esercizio del potere punitivo con la proporzionalità al grado di colpevolezza del soggetto, tenendo conto della sua vulnerabilità, se non facciamo questo, il potere punitivo diventa genocidio. E' urgente – ha concluso il prof.Zaffaroni - avere un atto di umiltà che somiglia a quell'atto di umiltà che hanno avuto i nostri colleghi internazionalisti.” Prima del prof.Zaffaroni era intervenuto il direttore dell’Istituto interdipartimentale di Studi Penalistici “Alimena”, prof.Mario Caterini che ha definito l'insigne giurista argentino “un vero, autentico maestro del diritto, la cui influenza travalica i confini dell'America Latina per parlare al mondo intero”. Utilizzando una metafora calcistica, Mario Caterini ha considerato il prof.Zaffaroni, in virtù anche dell'area geografica di provenienza, “il Maradona del diritto penale”. Nel parlarne come “un gigante del pensiero giuridico mondiale”, non prima di aver ricordato che Zaffaroni è anche socio emerito dell'Istituto di Studi Penalistici “Alimena”, il prof.Caterini ha sottolineato ancora che quello del prof.Zaffaroni è “un pensiero rigoroso, mai accomodante, animato da una costante coscienza critica nei confronti del potere punitivo”. Il segretario perpetuo dell'Accademia cosentina, professor Iazzolino, ha richiamato la tradizione dei giuristi della stessa Accademia , dagli Alimena fino a Gullo, mentre il saluto dell'Università della Calabria è stato portato dal prorettore, professor Francesco Scarcello.

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