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      “Coglie nel segno la 37ma edizione di Gezziamoci”

       
      il concerto all’alba di Daniel Karlsson

       

      Coglie nel segno la 37ma edizione di “Gezziamoci”

      31 ago 24 Assistere alla nascita di un nuovo giorno è già di per sé uno spettacolo indescrivibile. Se, però, tutto questo accade a Matera, all'alba di una domenica di fine estate e in uno scenario mozzafiato, quello di una dolce collina all'interno della Tenuta Lamacchia, con vista sulla Murgia - una manciata di chilometri appena fuori la città dei Sassi – si rasenta la magia ed il confine tra sogno e realtà diventa sempre più labile ed indistinguibile.

      Gigi Esposito

      Sono i miracoli ai quali ci ha abituati “Gezziamoci”, il festival che da ben 37 anni si tiene a Matera grazie alla pervicacia di un gruppo di jazzofili, radunati sotto le solide insegne dell'Onyx club e guidati da Gigi Esposito, irriducibile paladino di questa autentica “crociata musicale” che ciclicamente rinnova il suo format e che proprio nel concerto all'alba, che precede solitamente la giornata di chiusura della summer edition, trova, con grande apprezzamento di chi ha la fortuna e il desiderio di assistervi, il suo punto di forza e la sua insostituibile e più felice dimensione. E in cima alla collina, alle prime luci di un nuovo giorno, quest'anno a veder sorgere il sole, insieme allo zoccolo duro del Festival, quello non spaventato affatto dalla levataccia e dal magone di non salire in tempo sulla navetta che parte alle 5 da piazza della Visitazione per destinazione ignota, così come vuole la formula del secret place, c'era il pianoforte per il concerto in solo del pianista svedese Daniel Karlsson, uno dei nomi di punta del jazz del Nord Europa, praticamente adottato da Matera e da “Gezziamoci” e che per la quinta volta ha calcato la scena del festival lucano. Prima di regalare al pubblico un concerto all’alba di rara intensità e con punte di autentico lirismo, la sera precedente, sul terrazzo della Fondazione “Le Monacelle”, Karlsson aveva condotto con mani esperte il suo rodatissimo trio con Christian Spering al contrabbasso e Fredrik Rundqvist alla batteria. La più classica delle unioni strumentali del jazz ha coniugato nel Daniel Karlsson trio le sonorità tipiche dell’Europa del Nord, spesso inclini all’incedere lento, con un rigore esecutivo che ha spaziato dalle composizioni mutuate dall’ultimo album fino a ballad e a standard eseguiti con assoluta precisione e con la giusta dose di improvvisazione. Che Matera sia nel cuore di Karlsson è un dato acclarato ed ogni volta che torna in Basilicata, il pianista non perde occasione per ribadirlo. Ne è stata prova la riproposizione, durante il concerto, del brano “Colourful Grey (Song of Matera)”, composto per la città dei Sassi e a lei dedicato. Per il resto, “Gezziamoci” ha puntato sui giovani, lanciando un occhio, per niente distratto, verso le contaminazioni tra generi musicali e le diverse forme artistiche. Le novità più interessanti sono scaturite nel giardino dell'Hotel Del Campo dove il direttore artistico Gigi Esposito, coadiuvato dai suggerimenti del giovane Kevin Grieco, ha piantato i semi di una rigogliosa fioritura, manifestatasi nelle prime due serate della Summer edition che hanno visto protagoniste due formazioni di giovani musicisti di diversa estrazione.

      Raffaele Fiengo Quartet

      La prima è stata il Raffaele Fiengo Quartet, gruppo nato dall'unione di quattro giovani musicisti, tutti studenti del conservatorio di musica “Giuseppe Verdi” di Milano, e nel quale, oltre al band leader, si è messo in luce il pianista Thomas Umbaca. Sound maturo il loro, nonostante la giovane età (in formazione anche Enrico Palmieri al contrabbasso e Antonio Marmora alla batteria) e che evoca atmosfere tipiche del mainstream newyorchese cui la formazione non si sente affatto estranea.

      il quartetto di Avishai Darash

      Nella linea verde dei set jazzistici dell’Hotel Del Campo ha brillato anche la formazione esibitasi la sera successiva, il quartetto di Avishai Darash, pianista e compositore di origini israeliane. In questo caso il concerto ha celebrato l’unione tra generi e stili musicali diversi, facendo incontrare il jazz con sonorità arabeggianti, più vicine alla world music e con un sotteso messaggio inneggiante alla pace e all’unione tra i popoli il che, di questi tempi, è quasi doveroso. Hanno affiancato Darash, Richard Nacinelli al basso, Pedro Nobre alla batteria e, soprattutto – da tener desta su di lui l’attenzione – Antonio Moreno Glazkov che con le sue incursioni alla tromba, che per stile ricordano il primo Rava o – paragone ancora più calzante – Fulvio Sigurtà, ha impreziosito l’esibizione del quartetto proiettato verso un radioso futuro. Completa il quadro delle giovani leve del “Gezziamoci 2024” anche il quartetto che ha chiuso la serie dei concerti alla Fondazione “Le Monacelle”.

      Panagiotis Andreou

      Nonostante gli applausi con i quali è stata accolta e punteggiata, l’esibizione del quartetto del bassista di origini greche, Panagiotis Andreou, ha mandato un po’ deluse le aspettative dei puristi del jazz. In effetti, per quanto attivi sulla scena newyorchese, i musicisti che compongono la formazione sono sembrati troppo ancorati alle sonorità di matrice ellenica ed arabeggiante, soprattutto il leader e Tasos Poulios al kanun, mentre chi ha confermato la sua estrazione di jazzista è stato unicamente il tastierista Yiannis Papadopoulos. Troppo rockeggiante, invece, il drummer Jason Wastor. L’impasto è sicuramente potente, ma supera abbondantemente i confini del jazz per dirigersi altrove.

      Innarella e il suo quartetto

      Chi resta saldamente ancorato alla tradizione jazzistica, con quegli accenti free che ne hanno connotato da sempre stile e propensione, è il sassofonista Pasquale Innarella, protagonista e trascinatore di una delle più interessanti serate di questa edizione di “Gezziamoci”. Nel suo concerto, sempre alle “Monacelle”, affiancato da Ettore Carucci al pianoforte, Stefano Cantarano al contrabbasso e Lucrezio de Seta alla batteria, il sassofonista irpino ha dato vita ad un’apprezzatissima session durante la quale, partendo dal suo ultimo album “Abduction”, ha immaginato un percorso musicale simile a una seduta di streching, laddove ad ogni brano è corrisposto, in una scherzosa trovata, un esercizio ginnico. Assoluta padronanza degli strumenti, il sax tenore e il soprano, imbracciati a turno, Innarella, egregiamente supportato da Ettore Carucci, virtuoso del piano e abile tessitore di un tappeto sonoro sul quale ben si innestano le note del band leader, costruisce un concerto che mutua molto da “Abduction”, ma che spazia anche in altre direzioni, compiendo qualche salto all’indietro nel tempo. Fino a “Migrantes”, lavoro di qualche anno prima, e a “Ra Bumbardon”, dal cd “L’uomo del 300 Gilera”, album del 2008, impregnato di rimandi alla musica popolare e col quale Innarella salda il debito con le sue origini bandistiche. Grande versatilità la sua che vien fuori una volta di più quando si cimenta in qualche ballad che ricorda il suo nume tutelare per eccellenza, Dexter Gordon. Perché la serata di Innarella ha dispensato emozioni a piene mani? Anche per il suo seguito. Perché subito dopo il concerto sul terrazzo della Fondazione “Le Monacelle” il pubblico è stato invitato prima ai piani superiori per seguire il vernissage della mostra “Ego e Narciso, tra mito e tragedia” con le accattivanti installazioni e i dipinti di Stefano Sigillino, per poi essere indirizzato verso l’attigua chiesa di San Giuseppe al cui interno sempre Pasquale Innarella, insieme questa volta ad altri due sassofonisti, Gianfranco Menzella e Pepi Romaniello, prima in anonimato dal matroneo sovrastante e poi davanti all’altare, hanno regalato una magnifica performance mentre la notte scendeva su una Matera sempre più seducente. La loro “In a sentimental mood”, con la quale hanno preso commiato dal pubblico, è stata veramente da brividi. E se all’uscita da San Giuseppe, davanti al Duomo, un chitarrista di strada suona il leit motiv di “Deborah’s Theme” di Ennio Morricone, da “C’era una volta in America”, è segno che la notte può ancora attendere. (G.D.)

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