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Nunnari tuona: accogliete i migranti

Forte appello di Nunnari nel giorno della Matrona “Evitate gli sgomberi, accogliete i migranti”

12 feb 10 Freddo intenso e breve processione davanti il duomo della statua della Madonna del Pilerio oggi festeggiata nella chiesa matrice e accompagnata dalle forti parole del Vescovo Monsignor Nunnari che a gran voce ha chiesto alle istituzioni di evitare qualunque azione di forza contro gli ultimi, contro i migranti accampati lungo il fiume. Un appello rivolto a tutte le autorità presenti. Sindaco, Prefetto, Questore, rappresentante della Provincia, Carabinieri, Polizia e Finanza, Guardia Forestale e crocerossine, tutto lo spaccato sociale politico e istituzionale che ha riempito il duomo assieme ai tanti cosentini, credenti, fedeli e laici in una giornata in cui il freddo e la pioggia l’hanno fatta da padrone. Ma ci ha pensato il presule a riscaldare gli animi continuando nel suo appello forte e chiaro: “Faccio oggi un appello, rispettoso e fiducioso, alla magistratura –ha detto- di evitare solo per questo inverno qualsiasi tipo di sgombero confidando a chi di competenza a trovare una sistemazione adatta alla loro sistemazione”. Poi l’appello ai cosentini per la riscoperta del valore cristiano dell’accoglienza rinnovando lo spirito di condivisione verso coloro che vengono da lontano appellandosi alle esortazioni degli apostoli. Un richiamo infine, verso i fatti di Rosarno. Così come il Cec negli scorsi giorni, anche il vescovo metropolita cosentino ha sottolineato che la Calabria non è una terra razzista. Un’etichetta scomoda appiccicata dai media per far rumore. Ad inizio celebrazione il saluto del Prefetto e poi quello del Sindaco di Cosenza che ha offerto il cero votivo in segnno di devozione di tutta la città.

Video: festa della Madonna del Pilerio

L'omelia del Vescovo

Eccellenze reverendissime e carissime, onorevole signor Sindaco, illustri autorità civile e militari, reverendo ed amato clero, carissimi fedeli, ancora una volta ci è data questa occasione di grazia nel ritrovarci accanto alla nostra Celeste Patrona, nostra Signora del Pilerio, per la celebrazione della Sua festa. La processione appena conclusa ha visto la Madre incontrare la sua gente nei luoghi della sua quotidianità. Da secoli ormai questa dolcissima Madre condivide la storia e la vita dei suoi figli cosentini. Nelle ore difficili li ha assistiti, e provvidenzialmente soccorsi, è stata ed è sempre vicina ai suoi figli, accompagnandone il cammino con il suo materno sorriso. Ispirandoci con il suo esempio, secondo il racconto biblico, a dare concretezza alla nostra vita cristiana, Maria ci chiede una presenza nel mondo che non sia evanescente, (che si esaudisce in un rito per quanto nobile); essa ci spinge ad elevare a Dio un culto “gradito” che si consuma e brilla, come la cera, nell’accoglienza e nel servizio all’uomo, ad ogni uomo, soprattutto all’uomo cosi detto “invisibile” per la sua condizione precaria ed emarginata. La parola di Dio ci permette di contemplare Maria “nella sua carità irradiante fatta – come scrive il Cardinale Martini - di attenzione, di concretezza e di tenerezza del dono”. Maria è attenta ai segni di Dio fin dall’annunciazione quando, coinvolta in un progetto di salvezza universale dell’uomo, dà il suo assenso non distogliendo mai il suo sguardo e il suo cuore, dai problemi di quest’uomo che ha bisogno di redenzione e salvezza. Non aveva ancora finito di pronunciare il suo “Si” a Dio che era già sulla strada dell’amore per raggiungere sua cugina Elisabetta che in tarda età era al sesto mese della sua gravidanza. La troviamo, a Cana, nel giorno della festa di nozze pronta accogliere il disagio venutosi a creare per la mancanza del vino sulla tavola degli invitati. Invoca il miracolo, ed insiste con il suo figlio Gesù, per venire incontro a questa concreta difficoltà che ridona serenità alla festa. Qui si realizza la prima dimensione dell’amore, che è gratuità per eccellenza, è amore materno, quello cioè che previene il bisogno e lo capisce anche in assenza di parole. “Ubi amor ibi oculos”. Nella madre di Dio c’è lo sguardo puro ed attento che sgorga dalla carità irradiante. L’attenzione si traduce in Lei in decisione ed azione, si fa concretezza. Maria a così chiaro nel cuore ciò che deve fare. La Sua concretezza non si ferma davanti a niente e a nessuno. L’Angelo le aveva appena annunziato l’inizio della Sua maternità con il concepimento del figlio di Dio nel suo grembo e Lei affronta il lungo viaggio attraverso la montagna e lo fa in fretta. Sant’Ambrogio commenta: “La Grazia dello Spirito Santo non ammette indugio”. La fretta quella accompagnata dallo Spirito è una caratteristica evangelica. “ Adesso, non domani!” scriveva Don Mazzolari “ Chi dice domani ha già tradito l’amore”. La risposta che il figlio da alla madre durante le nozze di Cana, mentre lei sollecitava il suo intervento, “non è questa l’ora mia”, non la scoraggia, ella continua nel suo intento e nelle giare l’acqua diventa vino. Fratelli e sorelle l’incontro festoso con la Madre non è una parentesi della vita, non è un rifugio dinanzi ai problemi. Tornando questa sera alle nostre case dobbiamo portarci dentro la domanda suscitata da questa forte testimonianza della madre che abbiamo incontrato e venerato nel culto e che ora dobbiamo incontrare nelle vita. Sono domande che riguardano ciascuno di noi, personalmente, ma interpellano anche le nostre comunità cristiane “chiamati ad interrogarsi, come diceva poc’anzi il Signor. Sindaco, sulla nostra responsabilità di fronte alla complessità sociale e all’esigenza di solidarietà che emerge nel nostro territorio in forme nuove e particolarmente acute”. Dobbiamo riconoscerlo! Siamo troppo chiusi ed arrovellati nei nostri quotidiani problemi. Viviamo in una società borghese che fa diventare necessario per la nostra vita ciò che in realtà è superfluo e allora i problemi aumentano e dalle risposte non si evincono soluzioni possibili. Viviamo in una società chiacchierona che purtroppo trova spazio in tanti organi di stampa. Ho l’impressione, a volte, i falsi problemi si creano per eludere quelli veri. E’ quanto mai opportuno sottolineare l’invito del signor Sindaco ad educare alla responsabilità dei singoli e delle istituzioni. Dal farsi carico dei bisogni degli altri all’uscir fuori dal guscio del nostro egoismo, che troppo spesso, ci fa chiudere gli occhi rendendo gretto il nostro cuore e parziale la nostra visione. C’è poco amore dove c’è poca attenzione agli altri. “Ubi amor, ibi oculos”. E’ questo il senso dell’invito che ci viene fatto dalla parola di Dio: “non distogliere lo sguardo dalla tua gente e in particolare dal povero“ (Tob 4,7) e “dall’indigente” (Sir 4,4)”. Questa attenzione deve sollecitarci alla concretezza delle nostre scelte alla luce del Vangelo della carità, animarci ad assumere quello spirito di solidarietà, cioè a farci carico dei bisogni degli altri. Comunità cristiane più aperte e solidali, capaci di concreti segni di partecipazione alle necessità di quanti vivono fra noi il dramma della povertà e della solitudine. Anche nella nostra Cosenza è infatti presente il disagio di famiglie a cui manca il necessario per una vita dignitosa. La Caritas ci ha informato che da una sua inchiesta in Calabria risulta che il 50 % delle famiglie ha difficoltà ad arrivare alla fine del mese, ed il 25% è sotto la soglia della povertà. Per non parlare delle sacche di povertà delle nostre periferie che hanno segnato, e continuano a segnare, in modo sempre più drammatico la vita della nostra città e del nostro territorio. I sussidi caritas che quotidianamente vengono elargiti, il banco alimentare presente in tante nostre parrocchie, l’impegno delle caritas parrocchiali e delle associazioni, non possono rappresentare la soluzione del grave problema. In questo difficile contesto si inserisce l’altro nuovo problema dei fratelli Rom che soprattutto in inverno si ripresenta in tutta la sua drammaticità. Questa problematica interpella le nostre coscienze di uomini e di cristiani. Interpella soprattutto le istituzioni civili ‘incapaci’ fino ad oggi, anche per la crisi finanziaria, a progettare una situazione che possa garantire dignità a persone umane che nella disperazione hanno lasciato la loro terra nella speranza di trovare tra noi un luogo di accoglienza e di integrazione e non certo un paradiso terrestre. Come pastore e padre di questa Chiesa faccio oggi un appello, rispettoso e fiducioso, alla magistratura, di evitare solo per questo inverno qualsiasi tipo di sgombero confidando che chi è di competenza trovi finalmente la soluzione adatta alla loro sistemazione. Un appello a tutti gli uomini di buona volontà, credenti e non, di essere benevoli ed ospitali nello spirito del Vangelo e secondo l’esortazione degli Apostoli: “siate premurosi nell’ospitalità” (Rm 12,13), “praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri senza mormorare” (1 Pt 4,9) Posso testimoniare personalmente quanta fatica, qualche anno addietro, abbiamo fatto con la caritas diocesana a prendere in affitto due appartamenti per le famiglie Rom; addirittura ci fu a rivolta dei condomini quando già avevamo firmato il contratto. Fratelli e sorelle, non accontentiamoci, che i fatti di Rosarno, delle dichiarazioni ufficiali ci presentano come popolo non razzista o antirazzista. Ed in parte, grazia a Dio, lo siamo. Vale più la pedagogia dei fatti che tanta verbosità inutile. Gli esempi buoni, e che tra voi non mancano, ci sono. Ricordiamoci che pure nella parabola del Samaritano c’è “chi passò oltre”, (i due uomini del tempio) e “chi si prese del fratello” colpito e lasciato ai margini delle strade. L’uomo della carità è un laico illuminato e guidato dallo Spirito. Lo fa curvandosi sulle sofferenze, curando le sue ferite, con una tenerezza materna, virtù che, come in Maria, trasmette la profondità della vita attraverso la verità e la semplicità del gesto, e stabilisce un legame di carità profonda, umile, discreta. Alla scuola delle nostre madri ciascuno apprende lo stile di vita della gratuità di un amore che non aspetta, ma previene il bisogno dell’altro, di una carità che raggiunge l’altro nel concreto e gli trasmette non solo vita, ma la gioia e il senso della vita stessa. Nulla è più contrario al volto di una Chiesa materna che il presunto amore universale, astratto, che non accetta la fatica del discernimento e l’umiltà della mediazione, non sa far divenire prossimità reale, accoglienza e solidarietà concreta, donazione gioiosa. E’ un programma di vita che oggi la Madre consegna a tutti noi, in particolar modo a voi uomini chiamati e deputati nell’amministrare la cosa pubblica per il servizio all’uomo pur nelle complessità delle questioni e delle emergenze che naturalmente non potete affrontare da soli. Le istituzioni, compresa la Chiesa, e i singoli. Vi saranno vicini in un rapporto di civile convivenza, condivisione, collaborazione e spirituale accompagnamento con l’auspicio sincero che, superate incomprensioni e contrapposizioni ideologiche, personali e partitiche, chi ci guida e ci amministra operi con coscienza libera per il futuro di questa terra e si metta a servizio delle nostri sorti per l’oggi ed il domani. Affidiamo alla nostra celeste Patrona propositi e speranze per la crescita umana e spirituale della nostra gente.

Il discorso del Sindaco

«Carissimo Padre Arcivescovo, Eccellenze Reverendissime, Presbiteri e Diaconi, Autorità, Cittadine e Cittadini di Cosenza. Si rinnova quest’anno, nel giorno dedicato alla festa della Madonna del Pilerio, l’offerta del cero votivo alla Patrona della nostra Città. Nell’accogliere il caloroso invito del Padre Arcivescovo, che non smetteremo mai di apprezzare e ringraziare, l’Amministrazione Comunale sa di interpretare il forte sentimento religioso dei Cosentini che in questa splendida Cattedrale ritrovano una parte assai importante della propria storia, valorizzano le radici della propria fede, rinnovano e ribadiscono significative motivazioni all’impegno civile e sociale nei confronti della comunità. Di tutto questo il Sindaco della Città si fa interprete attraverso l’offerta del cero. Nell’austerità della Cattedrale tutti siamo chiamati – ciascuno per la propria parte – ad interrogarci sulla nostra responsabilità di fronte alla complessità della domanda sociale ed alla esigenza di solidarietà che emerge nel nostro territorio a volte in forme nuove e particolarmente acute. “Responsabilità” nel senso di “farsi carico” dei bisogni degli altri; una “responsabilità” che consiste, appunto, nel “dare risposta”, secondo le modalità e le possibilità di ciascuna istituzione, comunità o persona, alle domande che prepotentemente si propongono alla nostra attenzione e che provengono da chi attende parole e concreti segni di speranza. Non è questa l’occasione per dire quanto si sta facendo, gradualmente e seriamente, nei diversi ambiti della vita cittadina, per affrontare in maniera decisa annosi problemi che riguardano soprattutto i servizi alla cittadinanza e il lavoro di centinaia di persone; è bene solo ricordare che tutte le azioni relative alle politiche sociali ed ambientali vengono realizzate in un contesto di progressivo impoverimento dei Comuni, che non dispongono di risorse finanziarie sufficienti. Occorre solo porre l’accento sulla necessità che tutti quanti noi – istituzioni, comunità, cittadini – impariamo a condividere lo sforzo di operare per costruire, secondo lo stile antico della nostra gente, una rete di solidarietà in un tessuto sociale che sta conoscendo elementi di lacerazione e nuove forme di povertà. La Caritas ci dice, dati alla mano, che il 50% delle famiglie calabresi ha difficoltà ad arrivare alla fine del mese; l’esperienza che ogni giorno si vive nel governo delle città conferma questa analisi. Ecco perché abbiamo deciso di istituire il fondo per le famiglie disagiate, per dare un piccolo sollievo a 230 nuclei bisognosi. E per lo stesso motivo abbiamo finanziato il Banco Alimentare. E questa scelta la ribadiremo anche nel bilancio di quest’anno. È prioritaria l’esigenza di affrontare i problemi per quelli che sono, individuando – ed è questa la responsabilità della politica – le risposte possibili e realizzabili. Chi è chiamato ad operare sul piano istituzionale deve avere lucida consapevolezza delle proprie responsabilità di fronte a situazioni di disagio che si presentano in forme nuove che vanno ben al di là del caso singolo. Tuttavia, sarebbe illusorio ritenere che la complessità delle questioni e delle emergenze possa essere affrontata lasciando che siano soltanto le pubbliche istituzioni ad alleviarle. Sappiamo bene di parlare in un luogo sacro in cui è molto viva l’attenzione verso questi temi e ad uomini e donne sensibili, pronti ad accogliere chi vive nel bisogno. Sappiamo altrettanto bene che chi è chiamato al governo del territorio, deve guardare alle emergenze sociali in modo adeguato ai tempi e alle sfide, affrontando i problemi con il metodo della condivisione sia nella fase della analisi che in quella operativa. Allo stesso modo abbiamo consapevolezza che debba essere più pervasivo e praticato il metodo della condivisione e della collaborazione, in un dialogo autentico, libero tra istituzioni civili, comunità religiose, forze politiche e sociali, associazioni, cittadini. Dobbiamo ribadire proprio qui, oggi, che in questa logica devono essere affrontati anche i complessi problemi legati al tema dell’immigrazione e alla presenza sul nostro territorio di persone che vengono da lontano e che in questa terra sperano di vivere, piuttosto che nella loro. Sono questioni che esigono risposte urgenti, ma necessariamente inquadrate dentro una visione di lungo periodo. Il governo e l’accompagnamento di questi processi richiedono azioni amministrative che, nel rispetto delle leggi dello Stato e delle scelte delle persone coinvolte, devono avere come unico obiettivo quello della vera integrazione ed inclusione sociale, rifuggendo dalla tentazione di guardare alle politiche della sicurezza soltanto in termini repressivi. Dobbiamo, perciò, tutti essere consapevoli delle difficoltà proprie del fenomeno, del valore assoluto della persona e della vita umana e, al tempo stesso, chiederci cosa comporti praticare un’accoglienza consapevole e rispettosa di culture, religioni ed etnie diverse. È necessario, oggi più che mai, seguire un cammino che, nella distinzione dei ruoli, ma nella complementarietà degli interventi, dobbiamo fare insieme, Istituzioni civili e Chiesa, con tutti coloro che vorranno condividerlo, perché tutti abbiamo il dovere di parlare il linguaggio della speranza e della solidarietà umana, rappresentate questa sera dalla fiamma del cero che la Città ha acceso davanti alla Madonna del Pilerio. A nome di tutte le Cittadine e i Cittadini le diciamo grazie, Padre Arcivescovo, per la straordinaria ed altissima opera pastorale e sociale che, con grande amore, svolge nella nostra Arcidiocesi, nella nostra Città».

 

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