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GALLERIA NAZIONALE DI COSENZA,

PALAZZO ARNONE

Venerdì 12 marzo 2004 ore 12

PRESENTAZIONE DEL PASCE OVES MEAS DI BACICCIO - UN CAPOLAVORO RITROVATO


a cura di Rossella Vodret e Giorgio Leone

UN ECCEZIONALE CAPOLAVORO DELLA PITTURA BAROCCA RITROVATO IN CALABRIA

Avvenuto in Calabria il sensazionale ritrovamento di un capolavoro assoluto scomparso da due secoli e ricercato dagli studiosi di tutta Europa.

Era nascosto in Calabria il Pasce oves meas di Giovan Battista Gaulli, detto il Baciccio, il massimo pittore tardo barocco italiano, prediletto da Gianlorenzo Bernini, il solo in grado di tradurre sulla tela la vivacità compositiva e il vibrante movimento delle sculture del suo grande Maestro.
Si tratta di un dipinto capitale della pittura barocca italiana, finora ritenuto perduto, noto agli studiosi attraverso i documenti pubblicati nel 1996 da Maurizio Fagiolo dell’Arco e i disegni resi noti da Dieter Graf.

Il grande quadro su tela (cm. 257 x 217) - conservato da quasi due secoli presso un nobile palazzo di Vibo Valentia con una curiosa attribuzione a Pacicco (sic) de Rosa -, è stato recentemente acquistato dalla Soprintendenza per il Patrimonio storico artistico e demoetnoantropologico per la Calabria, diretta da Rossella Vodret, in seguito ad una segnalazione di Giorgio Leone, funzionario della stessa Soprintendenza.

Il Pasce oves meas di Baciccio verrà presentato in prima assoluta a Cosenza, nella Sala delle Udienze di Palazzo Arnone, dopo in restauro che lo ha liberato delle pesanti vernici ingiallite dal tempo, restituendo a questo magnifico capolavoro la brillantezza e l’armonia dei colori del suo originario splendore.
Subito dopo il dipinto - che è già diventato un’opera capitale, quasi una “star” della storia dell’arte italiana - andrà a Roma per essere esposto alla mostra sul Ritratto barocco che si inaugurerà nel Palazzo Chigi di Ariccia il prossimo 19 marzo.

Le ricerche condotte dalla Soprintendenza hanno consentito di accertare che il magnifico dipinto, rimasto nella collezione della famiglia Gaulli, aveva, negli inventari del XVIII secolo, la valutazione, molto alta, di 300 scudi, tra i più alti dell’intera raccolta, segno che già da allora era considerato un capolavoro della massima importanza.
Nel Settecento appartenne a Giulio Gaulli, figlio dell’artista e poi a sua figlia Marianna. I due possedevano anche il bozzetto più piccolo della stessa composizione, ora introvabile.
L’ultima notizia del Pasce oves meas prima del recente ritrovamento, era del 1776, dopo questa data se ne erano perse le tracce.

Ma come mai, e quando, questo celebrato dipinto, gioiello della cultura artistica romana del tardo ‘600, è finito in Calabria? Una plausibile risposta viene dalla storia del palazzo in cui è rimasto per due secoli. Nei primi anni dell’800, il palazzo, tra i più antichi e monumentali di Vibo, fu utilizzato come residenza prima da Giuseppe Bonaparte, che vi risiedette nel 1806 e nel 1808, e poi da Gioacchino Murat, cognato di Napoleone. Murat, divenuto Re di Napoli nel 1808, soggiornò a Vibo Valentia (chiamata allora Monteleone, capitale della Calabria Ultra II) tra maggio e settembre del 1810, nel corso della sua spedizione per conquistare la Sicilia.
Le fonti locali raccontano che in occasione della scelta del Palazzo a "sede del Re" gli appartamenti furono addobbati magnificamente per cui è possibile che il dipinto del Gaulli giunga a Vibo in questa occasione e non fu più ritirato dal proprietario per il triste epilogo della vicenda del Gioacchino Murat, morto fucilato a Pizzo Calabro il 13 ottobre 1815.

L’attuale stato di conservazione del dipinto, non consente un’analisi stilistica precisa. Graf, sulla base dei disegni ha proposto una datazione al 1700-1705, notando, giustamente, le analogie compositive con un’altra importante opera di Baciccio, il Giuseppe racconta il suo sogno conservato nel Musèe Fesch di Ajaccio, con la quale ci sono molteplici tangenze stilistiche.

La presenza del dipinto di G. B. Gaulli a Vibo e dunque in Calabria rende giusta testimonianza a un periodo cruciale della città e della regione, quando a seguito del "decennio francese" si ebbe una grande apertura culturale verso il resto del Mezzogiorno e dell'Italia. Periodo, questo, in cui si stabiliscono le premesse storiografiche e artistiche per lo sviluppo dell'Ottocento calabrese, anche in merito ad una storia del collezionismo ancora tutto da recuperare.

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