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      Blitz Gdf/DDA: traffico droga con base in porto Gioia, 36 arresti, coinvolto funzionario

       

       

      Blitz Gdf/DDA: traffico droga con base in porto Gioia, 36 arresti, coinvolto funzionario

      06 ott 22 Una operazione della Guardia di finanza sta eseguendo un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip distrettuale di Reggio Calabria, su richiesta della Dda, a carico di 36 persone (34 in carcere e 2 ai domiciliari) accusate di avere gestito un traffico internazionale di sostanze stupefacenti, con l'aggravante delle modalità mafiose, che avrebbe avuto come base logistica il porto di Gioia Tauro. L'operazione, eseguita da trecento finanziaeri, sta interessando, oltre alla provincia di Reggio Calabria, quelle di Milano, Roma, Napoli, Bari, Terni, Vicenza e Novara. I provvedimenti restrittivi in esecuzione sono stati emessi su richiesta del Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, e del Procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. Tra loro anche un funzionario della Agenzia delle Dogane. Nell'operazione che é in corso, alla quale partecipano il Gico e il Nucleo di polizia economico finanziaria di Reggio Calabria, sono impegnati oltre 300 militari della Guardia di finanza. Nell'ambito delle indagini che hanno portato agli arresti sono state sequestrate oltre quattro tonnellate di cocaina, per un valore al dettaglio di circa 800 milioni di euro.

      Procuratore: Sistema portuale è sano

      "Le responsabilità penali che sono emerse da questa inchiesta riguardano personalmente gli indagati e non il sistema portuale di Gioia Tauro, che rappresenta un soggetto economico sano e legale non coinvolto assolutamente nelle indagini". Lo ha detto il Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, nel corso della conferenza stampa sull'operazione che ha portato agli arresti per il traffico internazionale di droga che avrebbe avuto la base logistica nel porto container di Gioia Tauro. "L'importanza di quest'operazione - ha aggiunto Bombardieri - é quella di avere consentito di individuare un gruppo di operatori portuali stabilmente e sistematicamente al servizio di cosche di 'ndrangheta per il trasporto e l'importazione di ingenti carichi di droga. È evidente che le nostre indagini non fanno sconti a nessuno, ma ci teniamo ad affermare la piena legittimità dell'operato del sistema portuale, che garantisce agli imprenditori onesti che operano nello scalo la possibilità di svolgere la loro attività in modo sana. Ciò non di meno, comunque, non possiamo nascondere che dello stesso sistema portuale facevano parte alcuni operatori che, in realtà, erano dediti quasi esclusivamente ad attività illegali". L'inchiesta nell'ambito della quale sono stati eseguiti gli arresti é stata coordinata dallo stesso procuratore Bombardieri, dal Procuratore aggiunto, Giuseppe Lombardo, e dai sostituti procuratori Domenico Cappelleri e Paola D'Ambrosio.

      Coibvolti 14 operatori Porto Gioia

      Tra le 36 persone arrestate nell'ambito dell'inchiesta della Dda di Reggio Calabria su un presunto traffico internazionale di droga che avrebbe avuto la base logistica nel porto container di Gioia Tauro ci sono 14 operatori che svolgevano la loro attività nello scalo marittimo reggino. Si tratta di dipendenti delle imprese che operano all'interno del porto e della Mct, la società che gestisce il terminal. Dalla ricostruzione degli inquirenti é emerso che, dopo l'indicazione ai referenti locali da parte dei fornitori sudamericani del nominativo della nave in arrivo e dei container in cui era custodita la droga, l'importazione dello stupefacente passava attraverso la supervisione degli operatori portuali coinvolti. Questi ultimi, infatti, si attivavano affinché il container "contaminato" venisse sbarcato al momento opportuno e collocato in un'area "sicura", appositamente individuata, per consentirne poi l'apertura e, quindi, il trasferimento della cocaina in un secondo container, che veniva poi fatto uscire dal porto grazie a un vettore compiacente portato nel luogo indicato dai responsabili dell'organizzazione criminale.

      Coinvolto funzionario

      C'é anche un funzionario dell'Agenzia delle dogane tra le 36 persone arrestate dalla Guardia di finanza nell'ambito dell'operazione che ha portato allo smantellamento di un'organizzazione di trafficanti internazionali di droga che aveva la base logistica nel porto di Gioia Tauro. Il funzionario coinvolto nell'operazione, di cui al momento non é stata resa nota l'identità, era in servizio nell'ufficio istituito dall'Agenzia nel porto di Gioia Tauro che in passato ha collaborato innumerevoli volte con la Guardia di finanza in occasione dei tanti sequestri di sostanza stupefacente effettuati nel porto di Gioia Tauro. Per 34 delle 36 persone destinatarie dell'ordinanza di custodia cautelare é stata disposta la custodia cautelare in carcere, mentre a due é stato concesso il beneficio degli arresti domiciliari.

      Sequestrati 7 mln di euro

      La Guardia di finanza, nell'ambito dell'operazione antidroga che ha portato all'arresto di 36 persone accusate di avere fatto parte di un'organizzazione di trafficanti internazionali di sostanze stupefacenti che aveva la sua base logistica nel porto di Gioia Tauro, ha anche sequestrato beni mobili ed immobili per un valore di sette milioni di euro. Tra i beni sequestrati c'é il patrimonio aziendale di due imprese del settore dei trasporti.

      Sequestrate 4 tonnellate di cocaina

      L’operazione costituisce l’epilogo di complesse indagini, nel cui ambito sono state sequestrate oltre 4 tonnellate di cocaina per un valore al dettaglio di circa 800 milioni di euro, condotte dal Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata (G.I.C.O.) del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria supportata da EUROJUST. Essenziale per il buon esito delle attività si è dimostrato il coinvolgimento delle più importanti Istituzioni ed Agenzie europee ed internazionali dedite al contrasto dei crimini transnazionali. Le indagini, infatti, per il tramite del II Reparto del Comando Generale della Guardia di Finanza sono state realizzate con la collaborazione di EUROPOL e della D.C.S.A., nonché della Drug Enforcement Administration (D.E.A.) americana.

      Dipendente alterava controllo

      Avrebbe alterato il risultato del controllo effettuato tramite scanner su un container in cui erano nascosti trecento chili di cocaina, attestandone falsamente la regolarità, il dipendente dell'Agenzia delle dogane di Gioia Tauro, Pasquale Sergio, di 61 anni, arrestato e condotto in carcere nell'ambito dell'operazione della Guardia di finanza che ha portato all'arresto di 36 persone accusate di avere gestito un traffico internazionale di droga con base logistica nel porto container. Sergio, in particolare, che era proprio l'addetto allo scanner, avrebbe alterato, secondo quanto é detto nel capo d'imputazione, "gli esiti della scansione radiogena effettuata su un container trasportato dalla nave Msc Adelaide, proveniente da Santos, in Brasile, e sbarcato nel porto di Gioia Tauro il 18 dicembre del 2020". Il dipendente dell'Agenzia delle Dogane, in cambio della sua complicità, avrebbe percepito, secondo quanto é emerso dalle indagini, una somma pari al 3% del valore dello stupefacente che era custodito nel container, stimato in quasi nove milioni di euro. A carico di Bruno, in particolare, è stato disposto il sequestro di beni per un valore di 261 mila euro.

      L'operazione:

      Nel dettaglio - allo stato del procedimento e fatte salve successive valutazioni in merito all’effettivo e definitivo accertamento della responsabilità - l’operazione ha consentito di destrutturare una articolata organizzazione criminale, attiva all’interno dello scalo portuale gioiese, che avrebbe garantito tanto il recupero di ingenti partite di narcotico – giunte a bordo di navi cargo provenienti dal Sudamerica - quanto il successivo stoccaggio presso depositi ritenuti “sicuri”. L’organizzazione, che avrebbe assicurato la logistica del narcotraffico come se fosse una vera e propria società di servizi, era articolata su tre distinti livelli di soggetti coinvolti: esponenti delle principali famiglie di ‘ndrangheta, in grado di garantire l’importazione delle partite di cocaina in arrivo dal Sudamerica; coordinatori delle squadre di operai portuali infedeli che avrebbero retribuito la squadra con una parte della “commissione”, variabile tra il 7 e il 20% del valore del carico, ricevuta dai committenti (le dazioni ricostruite ammonterebbero ad oltre 7 milioni di euro); operatori portuali materialmente incaricati di estrarre la cocaina dal container “contaminato” e procedere all’esfiltrazione dello stesso verso luoghi sicuri. L’attività ha permesso di rilevare la dettagliata organizzazione dei narcotrafficanti, soliti comunicare con telefoni cellulari criptati. Dalla minuziosa ricostruzione sarebbe emerso che, dopo l’indicazione ai referenti locali da parte dei fornitori sudamericani del nominativo della nave in arrivo e del contenitore con la sostanza stupefacente, l’importazione passava sotto la supervisione dei dipendenti portuali coinvolti, i quali si attivavano affinché il container “contaminato” venisse sbarcato al momento opportuno e posizionato in un luogo convenuto. Avuta la disponibilità dello stesso, la squadra di portuali infedeli provvedeva a collocarlo in un’area “sicura”, appositamente individuata, per consentirne l’apertura e, quindi, lo spostamento del narcotico in un secondo container (abitualmente indicato dagli indagati come “uscita”) ritirato, nelle ore successive, da un vettore compiacente e trasportato nel luogo indicato dai responsabili dell’organizzazione.

      È proprio la ricostruzione della complessa fase dello spostamento dei container all’interno del porto che avrebbe consentito di disvelare la modalità utilizzata dai portuali per il trasbordo dello stupefacente, da loro stessi denominata sistema del “ponte”. Nello specifico, individuata l’area di sbarco idonea allo scopo, il contenitore “contaminato” veniva posizionato difronte al contenitore “uscita”, lasciando trai due la sola distanza necessaria all’apertura delle porte per lo spostamento della merce illecita. Al di sopra dei due container, quindi, ne veniva adagiato un terzo, denominato appunto “ponte”, con lo scopo di celare, anche dall’alto, i movimenti nell’area sottostante. Una volta allestita l’area, al fine di non destare sospetti, i portuali infedeli venivano trasportati sul luogo delle operazioni, nascosti all’interno di un quarto contenitore, che veniva adagiato nella medesima fila ove era stata allestita la struttura. Infine, per evitare che soggetti estranei ai fatti intralciassero le operazioni illecite, due straddle carrier (veicoli speciali adoperati per la movimentazione dei container), condotti dagli indagati, stazionavano ai lati della fila di contenitori ove era stato costruito il ponte, per impedirne l’accesso e monitorare, dall’alto, l’eventuale arrivo delle Forze dell’Ordine.

      Terminate le operazioni, dunque, ai container venivano applicati sigilli contraffatti. A quello proveniente dal Sud America veniva apposto un sigillo “clone”, spedito dalla stessa organizzazione fornitrice ed occultato all’interno di uno dei colli contenenti la sostanza stupefacente, mentre al container “uscita” veniva apposto un sigillo fasullo, predisposto dalla compagine criminale incaricata del recupero del narcotico.

      È, inoltre, emerso il coinvolgimento di un appartenente all’Ufficio Antifrode dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Gioia Tauro (destinatario di misura cautelare in carcere), il quale - al fine di agevolare l’organizzazione criminale investigata - sfruttando le proprie mansioni nell’ambito dei previsti controlli ispettivi, avrebbe alterato l’esito della scansione radiogena operata su un container contenente 300 Kg di cocaina, oscurando le anomalie riscontrate e attestando la coerenza della scansione con il carico dichiarato. Per tale comportamento il doganiere avrebbe ottenuto una somma di denaro par al 3% del valore del carico illecito.

      Le indagini hanno inoltre consentito di individuare i soggetti responsabili della progettazione ed esecuzione di un rilevante traffico dal Sudamerica alla Calabria, caratterizzato da periodiche e imponenti, ognuna di circa 2 tonnellate, importazioni di stupefacente. In una occasione, al fine di eludere i controlli gli indagati calabresi avrebbero ideato e richiesto ai fornitori colombiani specifiche modalità di occultamento del narcotico, inviando veri e propri schemi in cui veniva suggerita, mediante la raffigurazione del container, la ponderata distribuzione del carico, con la previsione dell’occultamento di 4 panetti di cocaina all’interno di ogni singola scatola del “carico di copertura” (banane), ad esclusione delle prime e delle ultime file di scatole, da non “contaminare” poiché più facilmente ispezionabili. Il carico, consistente in circa 1.920 panetti di cocaina, che avrebbe dovuto eludere i controlli effettuati con l’utilizzo dello scanner, è stato, tuttavia, intercettato e posto sotto sequestro dai Finanzieri.

      Tra i soggetti coinvolti figurano quattro narcotrafficanti internazionali, due originari della fascia ionica reggina e due di origine campana, di cui uno, di rilievo criminale assoluto, è stato recentemente espulso da un Paese Mediorientale per fatti analoghi. L'attività di servizio in rassegna testimonia la costante ed efficace azione della Guardia di Finanza e della Procura della Repubblica - Direzione Distrettuale Antimafia nel contrasto al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, anche posto in essere, attesa la portata transnazionale del fenomeno, con la sinergica cooperazione dei principali organismi nazionali ed internazionali preposti al contrasto di tale crimine.

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