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      Processo a Mimmo Lucano: chiesti 7 anni e 11 mesi, lui: distruggono ideale

       

       

      Processo a Mimmo Lucano: chiesti 7 anni e 11 mesi, lui: distruggono ideale

      17 mag 21 Il processo a carico di Domenico "Mimmo" Lucano, che da sindaco di Riace ha fatto conoscere in tutto il mondo il piccolo paese della Locride per le sue politiche di accoglienza dei migranti, non è stato "politico". E non è stato neanche "un processo al nobile e reale fine dell'accoglienza" ma alla "malagestio dei progetti di accoglienza". La Procura di Locri ha voluto puntualizzare questi aspetti prima di chiedere al Tribunale la condanna di Lucano a 7 anni e 11 mesi per associazione a delinquere, abuso d'ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d'asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina per presunti illeciti nella gestione del sistema di accoglienza dei migranti nel centro della Locride. Il pm Michele Permunian ha anche chiesto la condanna a 4 anni e 4 mesi per la compagna dell'ex sindaco, Lemlem Tesfahun, e pene variabili dai 6 mesi a 7 anni e 11 mesi per altri 23 imputati, mentre per altri tre ha chiesto l'assoluzione. Una richiesta commentata duramente da Lucano, oggi assente dall'aula. Non appena saputo della pena invocata dal pm, ha detto che la "richiesta così alta è l'ennesima dimostrazione che Riace e il modello che avevamo realizzato fanno paura. È stato un ideale politico che vogliono distruggere. Non è un caso che comincia tutto nel 2016 quando l'area progressista apre le porte alla criminalizzazione della solidarietà in Italia e in Europa. Dopo arriva Salvini e completa l'opera". Per Lucano "non è nemmeno un caso che oggi a Riace l'accoglienza ancora resiste e la mission continua senza fondi pubblici e tra mille difficolta. Questa è la risposta più forte. Oggi è stata la giornata della Procura. Ma l'ultimo capitolo si deve ancora scrivere". La requisitoria ha vissuto su due momenti. La prima parte, infatti, è stata fatta dal Procuratore della Repubblica Luigi D'Alessio. E' stato lui a sostenere che "questo non è un processo al nobile e reale fine dell'accoglienza" e che "non è mai stato nelle intenzioni della Procura contrastare il principio fondamentale dell'accoglienza dei migranti. Le "vere parti offese" per D'Alessio, sono stati "gli stessi immigrati visto che a questi ultimi sono state date le briciole dei finanziamenti elargiti dallo Stato. Qui non deve quindi passare il principio del giustificazionalismo". Concetti ripresi dal pm Permunian nella requisitoria vera e propria. "La tesi difensiva, ribadita più volte nel corso del dibattimento - ha detto - è che si tratti di un 'processo politico' avviato dalla Prefettura su impulso governativo. Questa narrazione, perpetuata da numerose esternazioni ed interviste agli organi di stampa di alcuni imputati, è stata pacificamente smentita nel corso dell'istruttoria dibattimentale. A ciò si aggiunga che, nel corso del processo, la tesi 'complottista' di alcune difese non solo si è dimostrata patentemente falsa ma, vi è più, si sono ravvisati comportamenti quantomeno contraddittori da parte di alcuni testi delle difese". Per l'accusa "numerose conversazioni dimostrano in modo netto che l'agire, anche illecito, di Lucano è stato determinato da interessi di natura politica. In particolare, tramite la costituzione delle associazioni e, soprattutto, tramite l'assunzione diretta di personale è riuscito a distribuire lavoro o, meglio, sostegni economici". Dalle intercettazioni, ha aggiunto il pm "è emerso che molti riacesi coinvolti nelle associazioni di fatto non lavorano pur percependo lo stipendio dalle stesse. Tuttavia Lucano, nonostante tali illiceità, non denuncia o non sospende i progetti perché 'a lui è la politica che lo frega' ovvero agisce perché quelle assunzioni rappresentano voti che ritorneranno in sede elettorale". "Ma io - risponde a distanza Lucano - non mi sono mai candidato se non al Comune di Riace rifiutando proposte come quella al Parlamento europeo, alle politiche e alle regionali".

      Legali: non condividiamo argomentazioni pm

      "Riteniamo che le conclusioni del pm non si commentano ma si ascoltano per poi replicare quando la difesa prenderà la parola". Lo hanno detto i difensori di Mimmo Lucano, gli avvocati Giuliano Pisapia e Andrea Daqua al termine della requisitoria del processo "Xenia" in cui il pm Michele Permunian ha chiesto 7 anni e 11 mesi di carcere per l'ex sindaco di Riace. "In ogni caso - aggiungono i due legali - riteniamo che il dato emerso dall'istruttoria dibattimentale recepito dalla pubblica accusa diverga, e di molto, da quello che abbiamo recepito noi. Gli esempi sarebbero numerosi ma, in questa sede, basti considerare la testimonianza del Ruga ritenuta, ancora, attendibile dall'ufficio di procura nonostante quanto emerso in udienza nel corso della deposizione del teste. Non condividiamo, dunque, le argomentazioni e conclusioni della pubblica accusa che contesteremo sulla base di quanto emerso, anche documentalmente, nel corso del dibattimento".

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