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      Blitz PS a cosche Serraino e Libri: 12 arresti

       

       

      Blitz PS a cosche Serraino e Libri: 12 arresti

      09 lug 20 È in corso dalle prime ore di questa mattina una vasta operazione della Polizia di Stato, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, finalizzata all'esecuzione di 12 ordinanze di custodia cautelare (11 in carcere e una agli arresti domiciliari) emesse nei confronti di presunti elementi di vertice, luogotenenti e affiliati alle cosche della 'ndrangheta Serraino e Libri operanti nella città di Reggio Calabria. Gli arrestati sono accusati di associazione mafiosa e, a vario titolo, di estorsione, intestazione fittizia di beni, danneggiamento, porto e detenzione illegale di armi da fuoco, corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio, illecita concorrenza con violenza o minaccia, incendio, aggravati dalla circostanza del metodo e dell'agevolazione mafiosa. Gli investigatori della squadra mobile di Reggio Calabria e gli uomini dei reparti Prevenzione Crimine stanno eseguendo, nell'ambito della stessa operazione, anche numerose perquisizioni e il sequestro di alcuni esercizi commerciali. Nelle fasi esecutive dell'operazione sono stati Impiegati circa 100 agenti della Polizia.

      Boss in carcere dirigeva affari col cellulare

      L'inchiesta della Dda di Reggio Calabria ha consentito di accertare come il vertice della cosca Serraino sia attualmente rappresentato da Maurizio Cortese, genero di Paolo Pitasi, già uomo di fiducia di Francesco Serraino, il "boss della montagna", assassinato durante la seconda guerra di 'ndrangheta. Nel corso degli anni, Cortese - catturato da latitante nel 2017 dalla Squadra Mobile e dai Carabinieri - ha acquisito una sempre maggiore importanza nell'ambito dei gruppi mafiosi, riuscendo a scalare le gerarchie della cosca Serraino. Cortese, in particolare, è riuscito a gestire dal carcere gli affari illeciti della cosca attraverso i colloqui con la moglie, Stefania Pitasi, le comunicazioni epistolari con altri affiliati, nonché con l'utilizzo di apparecchi telefonici cellulari introdotti abusivamente all'interno del carcere. Pur essendo detenuto, quindi, Cortese ha continuato a svolgere le sue funzioni di capo cosca, impartendo direttive dal carcere per eseguire estorsioni, ordinare danneggiamenti di esercizi commerciali, imporre la fornitura di beni e per pianificare intestazioni fittizie di attività commerciali. Dall'indagine sono emersi diversi elementi che dimostrano come il capocosca avesse a disposizione in carcere un telefono cellulare - rinvenuto il 9 aprile 2019 dalla Polizia Penitenziaria - con il quale riusciva a comunicare riservatamente con l'esterno e ad impartire disposizioni alla moglie la quale si prestava a fare da postina e ad altri sodali, "con l'uso di un linguaggio criptico - riferiscono gli investigatori - ma attinente alle dinamiche e alle attività delittuose della cosca di cui continuava a tenere le redini nonostante lo stato di detenzione".

      Coinvolto sostenitore Nicolò

      "Nell'ambito di questa indagine, che viene avviata dopo l'arresto di Maurizio Cortese nel 2017, è confluita parte di un'inchiesta precedente relativa sempre allo stesso contesto criminale in cui erano state registrate alcune conversazioni dalle quali emerge il ruolo dell'arrestato Domenico Morabito come 'uomo di rispetto'. Abbiamo registrato, in particolare, l'interesse di Morabito come 'collettore di voti' dell'ex consigliere regionale Alessandro Nicolo". Lo ha detto il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, durante la conferenza stampa per illustrare i dettagli dell'operazione "Pedegree" contro le cosche di 'ndrangheta Serraino e Libri. In merito ai rapporti con la politica e con l'ex consigliere regionale Nicolò, già arrestato nell'ambito dell'inchiesta "Libro Nero" e tuttora detenuto, "si fa riferimento - ha spiegato il procuratore Bombardieri - alla necessità di un incontro tra lo stesso Nicolò e Domenico Sconti, personaggio all'epoca già condannato e il cui rilievo criminale era ben noto. Non abbiamo contezza che l'incontro sia effettivamente avvenuto, ma solo della fase preparatoria". Con l'inchiesta "Pedegree", secondo il questore Maurizio Vallone, la Squadra mobile ha colpito "una cosca dedita in modo particolare alle estorsioni". "È una registrazione - aggiunge Bombardieri - delle dinamiche criminali nell'area cittadina che fa seguito all'operazione 'Malefix' di qualche giorno addietro e ricostruisce gli interessi delle varie cosche nelle diverse aree della città. Si tratta di un'importante attività investigativa che si è sviluppata in un periodo recente. Siamo riusciti a monitorare Maurizio Cortese, che dal carcere di Torino riusciva a dare indicazioni alla cosca attraverso cellulari illecitamente introdotti nella casa circondariale del capoluogo piemontese. Non siamo riusciti a individuare l'agente della polizia penitenziaria corrotto, ma è sicuro che dal carcere Cortese dava ordini ai suoi affiliati per quanto riguarda le estorsioni. Di lui ci ha parlato anche il collaboratore di giustizia Pino Liuzzo per il quale Cortese era non solo intraneo alla cosca Serraino ma nell'ultimo periodo aveva una sua cellula propria. Lo stesso boss Nino Labate lo ha definito un 'numero uno'. Maurizio Cortese, infatti, intratteneva rapporti con la cosca Labate e con i De Stefano-Tegano attraverso Gino Molinetti". Nell'ambito dell'inchiesta,gli uomini del capo della Mobile Francesco Rattà sono riusciti a fare luce sugli attentati al "Mary Kate", il bar sul viale Calabria incendiato l'anno scorso due volte in un mese. Secondo la ricostruzione della Procura, pur essendo un esercizio commerciale di proprietà di un suo presunto affiliato, il danneggiamento era stato deciso dal boss Cortese per favorire un altro bar della zona. "Quello che ci sconvolge - ha concluso il Procuratore Bombardieri - è l'episodio di un professionista, un dentista, che 'avvicinato' dalla cosca preferisce rivolgersi al boss Paolo Pitasi, genero di Cortese, piuttosto che allo Stato". Durante le perquisizioni, la Squadra mobile ha sequestrato due pistole illecitamente detenute da un indagato e una grossa somma di denaro.

      Emerse dinamiche criminali

      "Pedigree" è il nome che gli investigatori della Polizia hanno dato all'operazione nel corso della quale, dalle prime ore di questa mattina, sono stati eseguiti arresti e perquisizioni nei confronti di capi e gregari delle cosche reggine Serraino e Libri. Le indagini condotte dalla Squadra Mobile, sotto le direttive dei magistrati della Dda di Reggio Calabria, hanno portato alla luce le dinamiche criminali delle due cosche della 'ndrangheta operanti, attraverso le loro articolazioni territoriali, nel quartiere di San Sperato e nella frazione Gallina di Regggio Calabria nonché nel comune di Cardeto e a Gambarie d'Aspromonte, principalmente nel settore delle estorsioni in danno di imprenditori e commercianti anche attraverso l'imposizione di beni e servizi, nonché nell'impiego dei proventi delle attività delittuose in bar e ortofrutta, intestandoli a sodali o a compiacenti prestanomi allo scopo di eludere il sequestro con l'applicazione delle disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali.

      Il controllo della distribuzione della fritta

      Dal controllo sui bar, ristoranti e negozi di frutta e verdura fino al furto dei raccolti come l'uva, il volume d'affari delle agromafie è salito a 24,5 miliardi di euro, con attività che riguardano l'intera filiera del cibo; questo approfittando anche della crisi causata dall'emergenza coronavirus. E' quanto afferma la Coldiretti in riferimento all'operazione della Polizia di Stato a Reggio Calabria. L'agroalimentare è una delle aree prioritarie di investimento della malavita, che ne comprende la strategicità in tempo di crisi economica, sottolinea la Coldiretti, perché consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile. Con i classici strumenti dell'estorsione e dell'intimidazione, le agromafie impongono la vendita di determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della mancanza di liquidità, arrivano a rilevare direttamente grazie alle disponibilità di capitali ottenuti con il commercio della droga. Un fenomeno che minaccia di aggravarsi ulteriormente per gli effetti della pandemia, precisa la Coldiretti, che potrebbe spingere le imprese a rischio a ricorrere all'usura per trovare i finanziamenti necessari.

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