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    Sanità al collasso, in 5 anni tagliati 7500 infermieri, specie in Calabria, Lazio e Campania

     

    Sanità al collasso, in 5 anni tagliati 7500 infermieri, specie in Calabria, Lazio e Campania

    18 lug 16 In Italia mancano 47mila infermieri "per raggiungere livelli accettabili di sicurezza" nelle cure. E ben 7.500, a causa di tagli alla spesa e blocchi del turnover, ne sono stati persi tra il 2009 e il 2014. Una 'emorragia' che ha colpito in particolare le Regioni in piano di rientro: Campania, Lazio e Calabria, da sole, in questi cinque anni, hanno perso 5.439 professionisti. E' quanto emerge dall'analisi della Federazione dei Collegi degli infermieri Ipasvi, in base ai dati 2014 del Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato. Molti infermieri non lavorano e chi lavora lo fa con mille difficoltà: nei 5 anni in esame le retribuzioni sono state ridotte del 25% in termini di potere di acquisto. Quanto all'età media dei professionisti, a causa del mancato ricambio generazionale la percentuale di over 50 - meno adatti a turni pesanti e a manovre rischiose - a livello nazionale è pari al 38% degli 'operativi', ma in Calabria raggiunge il 61%, il 58% in Molise e il 54% in Campania. E poi i turni massacranti testimoniati dalla continua crescita della spesa per gli straordinari, necessari a coprire le carenze d'organico: in Lazio e Campania raggiunge in media il 4,5% della retribuzione del singolo infermiere, contro l'1,9, ad esempio, delle Marche. "La soluzione - spiega Barbara Mangiacavalli, presidente dell'Ipasvi - sono nuove assunzioni". Ma "un 'placebo' per alleggerire la situazione nelle Regioni in piano di rientro sarebbe la mobilità volontaria, prevista dalla riforma della PA, ma che aziende e Regioni 'bloccano' non rilasciando i nulla osta. A richiederla sono soprattutto le Regioni del Sud e ad aderire sarebbero gli infermieri di quelle stesse Regioni che vivono da anni a migliaia di chilometri da casa". I dati dell'Ipasvi indicano che in Campania ogni infermiere, in Campania, accudisce ben 18 pazienti, la metà rispetto ai 9 che il collega del Veneto o della Liguria si trova a dover gestire: è un carico di lavoro extra quello che i professionisti si trovano a svolgere nelle regioni in piano di rientro. Somministrazione di farmaci, prelievi di sangue, misurazione della temperatura e dei parametri vitali, cambio del catetere, gestione della dialisi. Sono solo alcuni dei tantissimi compiti che un infermiere è chiamato a svolgere nei confronti del malato, sia a domicilio che in ricovero. "Studi internazionali - riferisce Ipasvi - indicano che se i pazienti per infermiere scendono da 10 a 6, la mortalità si riduce del 20%". Un dato che basta a far capire perché, in questo caso, la sicurezza è una questione di numeri. Numeri rispetto ai quali l'Italia arranca. Se la media nazionale è di 12 pazienti per infermiere, nelle regioni in piano di rientro, che di più scontano il blocco del turn over e la carenza di personale, si arriva a 18 pazienti per infermiere in Campania, 16 nel Lazio, 15 in Piemonte, 14 in Puglia. Al contrario, alcune Regioni come Veneto, Toscana, Liguria e Basilicata si fermano a 9 e il Friuli Venezia Giulia fa ancora meglio con 8.

    Questione meridionale della sanità. "Ci sono voluti 23 morti per costringere il Governo a riconoscere la persistenza di una questione meridionale, finora espulsa dalla sua narrazione politica. Una questione meridionale che interessa la mobilità, il reddito, i livelli di occupazione, specie femminile e giovanile, la sicurezza, compresa quella delle cure, i diritti sociali, a cominciare da quello alla salute". Lo sottolinea il Segretario Nazionale Anaao Assomed, Costantino Troise. "La legge sarà anche uguale per tutti, ma la salute non lo è, legata come è, sempre di più, alle 2 R di residenza e reddito. Al Sud - osserva Troise - si muore di più e si vive di meno, ci si ammala di più e si guarisce di meno, di più si viaggia alla ricerca di speranze, insieme trasferendo risorse alle regioni più ricche, la garanzia dei LEA è più spesso un optional. Le diseguaglianze partono dai criteri di finanziamento dei sistemi sanitari regionali, che assegnano risorse dello Stato, e quindi di tutti i cittadini italiani, in maniera punitiva per il Meridione. Con il facile alibi della inefficienza delle classi dirigenti locali, che non di rado hanno lo stesso colore politico di quelle nazionali, si continua a fare parti diseguali tra diseguali. Troppi Governatori - conclude Troise - dimenticano che le loro fortune, anche elettorali e di governo, poggiano su queste fondamenta e, con una arroganza degna di miglior causa, emanano indirizzi contrattuali, per il personale che tiene in piedi quello che resta della sanità pubblica, in cui c'è solo ciò che vogliono avere ma non quello che intendono dare".

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