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    Nel covo dei boss telecamere ed acqua corrente

     

     

    Nel covo dei boss telecamere ed acqua corrente

    30 gen 16 Era dotato di microtelecamere, collegate con un monitor interno, per controllare ampia parte dell'area esterna e prevenire così eventuali blitz delle forze dell'ordine il bunker in metallo, scoperto ieri dalla polizia nelle campagne di Maropati, nel Reggino, in cui si nascondevano i boss latitanti della 'ndrangheta Giuseppe Ferraro e Giuseppe Crea. I due latitanti, comunque, erano così sicuri di non essere scoperti da spegnere in alcune circostanze le telecamere. Ed il caso ha voluto che le apparecchiature, proprio ieri mattina, fossero disattivate, dando la possibilità così agli agenti della Squadra mobile di Reggio e dello Sco, sotto le direttive, rispettivamente, di Francesco Rattà ed Andrea Grassi, di effettuare, senza essere notati, il blitz che ha consentito la cattura dei due latitanti. Il covo, inoltre, aveva una caratteristica particolare che lo rendeva, in un certo senso, confortevole e forse unico nella casistica dei rifugi per latitanti: aveva l'acqua corrente che veniva utilizzata da Ferraro e Crea per lavarsi e pulire le stoviglie che utilizzavano per mangiare. All'interno del nascondiglio, inoltre, oltre ad un consistente quantitativo di armi, tra cui un fucile mitragliatore, é stato trovato un chilogrammo di materiale esplodente. Un altro elemento fatto rilevare dagli investigatori é la mimetizzazione pressoché perfetta del nascondiglio, coperto con una vegetazione fitta e selvaggia, con l'ambiente circostante, in modo tale da renderlo assolutamente invisibile dall'esterno e non rilevabile anche dagli elicotteri. "Nessuno poteva immaginare - ha commentato Francesco Rattà - che in quel punto, un dirupo ricavato in una zona estremamente isolata e dalla vegetazione fittissima, potesse nascondersi un nascondiglio per latitanti. Il dato che emerge significativamente é l'assoluta capacità di mimetizzazione dei due ricercati con l'ambiente in cui avevano scelto di trascorrere la latitanza". La polizia, tra l'altro, é convinta che indicazioni molto preziose per capire l'importanza del ruolo svolto sul piano criminale da Giuseppe Ferraro e Giuseppe Crea verranno dall'esame delle decine di armi, tra cui un fucile mitragliatore, trovate all'interno del bunker in cui si nascondevano i due latitanti. L'ipotesi che si fa, infatti, é che siano state utilizzate per importanti azioni criminali. La decisione dei due boss di restare anche durante la latitanza nella loro zona d'origine, malgrado avessero la possibilità di rifugiarsi in aree più "tranquille", é la dimostrazione, secondo gli investigatori, della necessità, anche per personaggi di così forte spessore criminale, di mantenere il controllo delle zone in cui hanno e mantengono i loro interessi, prevenendo qualsiasi tentativo di estromissione o di attenuazione pur minima, anche da parte di altri affiliati alle loro stesse cosche, del potere e della "leadership" criminale di cui sono capaci.

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