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    Caso Moro: nuove rivelazioni su rapporti BR-ndrangheta

     

     

    Caso Moro: nuove rivelazioni su rapporti BR-ndrangheta

    10 dic 15 Potrebbe riversare rivelazioni dirompenti il filone di inchiesta della Commissione Moro sui rapporti operativi tra le Br e la 'ndrangheta. Lo segnala la relazione che fa il punto sul lavoro finora svolto. Nuovi elementi di interesse sono emersi nel corso della collaborazione avviata con le Procure di Milano, Brescia e Reggio Calabria. Nuovi elementi di interesse sono emersi nel corso della proficua collaborazione avviata con le Procure della Repubblica di Milano, Brescia e Reggio Calabria. Diversi indizi sono stati raccolti sia in merito alla notizia, circolata in ambienti 'ndranghetisti, dell'esistenza di un'arma "sporca" impiegata a via Fani, sia in ordine all'ipotizzato interessamento (dapprima sollecitato, poi scoraggiato) della criminalità organizzata per favorire il rinvenimento del luogo di prigionia di Aldo Moro. Gli accertamenti in corso e i relativi esiti parziali sono tutt'ora coperti da segreto. In questa fase, si può riferire soltanto che - in relazione all'ipotesi che appartenenti a organizzazioni criminali siano stati ritratti in talune delle fotografie scattate il 16 marzo 1978 tra la folla presente in via Fani - la Commissione ha disposto l'acquisizione di tutto il materiale fotografico ripreso in quell'occasione dalle principali testate giornalistiche ed agenzie di stampa. Raffaele Cutolo - ascoltato in carcere da alcuni collaboratori della Commissione - ha riferito di aver appreso durante la sua detenzione da un boss della 'ndrangheta di contatti intercorsi, con riferimento al sequestro Moro, tra le Brigate Rosse e ambienti 'ndranghetisti in relazione al reperimento di armi. La Commissione ha accertato che nel carcere in cui all'epoca si trovava Cutolo vi era un solo detenuto appartenente alla malavita organizzata calabrese, il cui nome era compatibile con quello riferito dalla stesso Cutolo.

    Dubbi su Bar Olivetti. C'è la possibilità che si scelse via Fani per l'assalto a Moro perché il Bar Olivetti, davanti al quale si dislocò il commando Br, era sede di un inedito intreccio di interessi che la commissione Moro sta cercando ora di ricostruire. Il dubbio è fondato e supportato da molti elementi nuovi riportati nella relazione approvata oggi. La commissione sta scandagliando l'ipotesi che il titolare del bar possa essere stato in relazione o con i i Servizi di sicurezza o con le forze dell'ordine. Una ipotesi che farebbe riscrivere del tutto la vicenda di via Fani. Alcuni testimoni hanno riferito che il bar non era affatto chiuso in quelle settimane, come invece hanno riferito tutte le indagini nel corso di questi 37 anni e di conseguenza la sterminata pubblicistica esistente. Alcuni testi dichiarano di aver preso il caffè o di aver usato il telefono proprio nella mattina del 16 o di essere clienti abituali. La possibilità che il bar fosse aperto al pubblico dopo la strage, nonostante la situazione giuridica formale fosse di attività in liquidazione, pone seri interrogativi sulla dinamica dell'agguato, per come è stata sempre ricostruita sulla scorta delle dichiarazioni degli stessi brigatisti, i quali hanno asserito di aver atteso l'arrivo delle auto al servizio di Aldo Moro nascosti dietro le fioriere prospicienti il bar. Questa ricostruzione - non del tutto convincente, tenuto conto che le fioriere potevano offrire un riparo poco efficace a più persone destinate a stazionare in attesa per un lasso di tempo non trascurabile - deve essere quanto meno riconsiderata alla luce dei nuovi elementi acquisiti dalla Commissione. Il titolare del bar Tullio Olivetti era un personaggio molto noto agli ambienti investigativi per essere stato coinvolto in una complessa vicenda relativa ad un traffico internazionale di armi, ma più volte è stato 'sfilato' da tutte le indagini, contrariamente ai suoi presunti complici, tanto da far ipotizzare che la sua posizione sembrerebbe essere stata "preservata" dagli inquirenti e che egli possa avere agito per conto di apparati istituzionali ovvero avere prestato collaborazione. Formalmente l'indagine che coinvolge Olivetti, il cui nominativo figura negli elenchi - predisposti dalla Questura di Bologna - delle persone presenti in quella città nei giorni antecedenti la strage alla stazione del 2 agosto 1980, iniziò il 29 gennaio 1977, con un rapporto a firma del tenente colonnello Antonio Cornacchia, ed aveva al centro le attività di un certo Luigi Guardigli , amministratore della società RA.CO.IN che si occupava, tra l'altro, di compravendita di armi per Paesi stranieri. Tullio Olivetti venne subito indicato da Guardigli come trafficante d'armi e di valuta falsa (aveva riciclato 8 milioni di marchi tedeschi, provento di un sequestro avvenuto in Germania) che vantava alte aderenze politiche, era in contatto con ambienti della criminalità organizzata; in una circostanza, nella villa di una persona presentatagli proprio da Tullio Olivetti, Guardigli aveva trovato ad attenderlo il mafioso Frank Coppola (indicato come persona che intervenne per dissuadere alcuni elementi della criminalità organizzata - in precedenza sollecitati da uomini politici ad attivarsi - dal fornire notizie utili a localizzare il luogo dove era tenuto prigioniero Aldo Moro) che gli aveva chiesto di dare seguito ad una richiesta di armi fattagli da tale Vinicio Avegnano, in stretti rapporti con ambienti neofascisti e con quelli, non meglio precisati, dei Servizi', anch'egli indicato come amico di Olivetti. Ma le indagini su Olivetti non vanno avanti: sottoposto a perizia psichiatrica eseguita dal professor Aldo Semerari, Guardigli fu definito "una personalità mitomane, con una condizione psicopatica di vecchia data, e, allo stato, permanente. I suoi atti e le sue dichiarazioni sono espressioni sintomatologiche di tale anomalia". Il complesso di queste circostanze, secondo la commissione, anche in considerazione dei rapporti tra Olivetti e Avegnano impone ulteriori accertamenti sull'ipotesi che il primo fosse un appartenente o un collaboratore di ancora non meglio definiti ambienti istituzionali o dei servizi o delle forze dell'ordine.

    Commissione indaga su prima base di ricovero. La Commissione Moro ha appurato che la ricostruzione delle dinamiche di fuga da via Fani indica l'esistenza di una base di "immediato ricovero" per i Br e probabilmente per Aldo Moro nella zona di via Licinio Calvo dove vennero ritrovate in successione diverse macchine coinvolte nell'assalto al corteo del Presidente della Dc. Le indagini che si stanno conducendo su Via Licinio Calvo - strada a senso unico che discende da via Festo Aveno verso via Lucillo, qui termina la carreggiata e la via prosegue con una gradinata - assumono un significato fondamentale per la ricostruzione di tutta la fase del sequestro di Aldo Moro immediatamente successiva all'agguato di via Fani. Si tratta di indagini per il momento in gran parte riservate e sulle quali, osserva la commissione, ancora una volta, non si può mettere un punto, ma sulle quali si hanno buoni motivi per insistere. Esistono, infatti, ragioni per ritenere che in quella via ci fosse un "garage di riferimento" dove furono ricoverate le auto rinvenute solo nel corso delle ore successive - la 128 blu addirittura il 19 marzo. "Diventa sempre più pressante un interrogativo che la commissione si sta ponendo: quando lo statista venne tratto fuori dalla 132, visto che in un momento anteriore e prossimo alle 9,23 quell'auto venne abbandonata?" Malgrado il tempo trascorso, la questione della base non scoperta - non distante da luoghi frequentati dallo statista - deve "ritenersi attuale", segnala la commissione. "Sappiamo che le due Fiat 128 vennero entrambe abbandonate in via Licinio Calvo, ma - contrariamente da quanto afferma il Memoriale Morucci - in tempi diversi e successivi al rinvenimento della 132. Infatti, abbiamo appurato l'orario del ritrovamento della Fiat 132 a bordo della quale venne caricato Moro in via Fani, parcheggiata sul lato destro di via Licinio Calvo, all'altezza del civico 1: intorno alle 9,23. Viene segnalato alle 9,27 l'allontanamento a piedi dal quel luogo di una donna e un uomo armati. I poliziotti apprendono "a caldo" la circostanza dell'allontanamento a piedi dalla Fiat 132 di un uomo e una donna. Un particolare importante. Valerio Morucci nel Memoriale scrive che a bordo della Fiat 132, ove era stato caricato Aldo Moro, presero posto solo brigatisti uomini, e che gli altri fuggirono con due Fiat 128, una blu ed una bianca. Su quella blu Morucci ha indicato la presenza di Barbara Balzerani, fin dalla fase della partenza del convoglio dal luogo della strage: se alla 132 abbandonata in via Licinio Calvo è stata collegata una donna, o si tratta di un'altra terrorista, non operativa a via Fani - e allora la 132 si è fermata in qualche luogo per farla salire a bordo - oppure, in un dato momento, Balzerani ha cambiato la propria originaria collocazione, passando dalla 128 blu alla 132, manovra ad altissimo rischio e 'ritardante' l'operazione di fuga. Ambedue le ipotesi contrastano, quindi, con quanto affermato nel "Memoriale Morucci". La catena degli eventi che consentono ai brigatisti di scomparire con l'ostaggio certamente non fu casuale. La via Licinio Calvo divenne un terminale di primaria importanza dell'intera operazione, ed oggi si pone come un punto prospettico utile all' esatta ricostruzione delle fasi successive all'agguato. Poiché dopo il rinvenimento della Fiat 132 vennero effettuati lungo tutta la strada accurati controlli, senza che delle due 128 vi fosse traccia, dovrà approfondirsi la questione al fine di verificare se entrambe le auto ricercate siano state portate in via Licinio da un sito nelle immediate vicinanze".

    Fioroni: tante bugie. -"Il Paese e la memoria di Aldo Moro meritano verità. Ma fino ad ora, e con un solo anno di lavoro, abbiamo trovato tante bugie. Molte le novità, riscriveremo in parte i 55 giorni ".Lo dice Beppe Fioroni presidente della Commissione Moro presentando la relazione approvata oggi.

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