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    Mons. Bertolone "Contrastare violenza,cambiare mentalità"

     

     

    Mons. Bertolone "Contrastare violenza,cambiare mentalità"

    11 lug 14 Contro la mafia, scrive il vescovo Vincenzo Bertolone sull'Osservatore romano, "serve uno scatto in avanti, che faccia prevalere una testimonianza cristiana autentica e un impegno civile vero, esteso a tutte le articolazioni dello Stato. L'indifferenza e la disattenzione dei buoni sono quel che consente ai cattivi di condannare una società intera all'umiliazione civile, all'asservimento". E della mafia fanno parte "non solo i mafiosi condannati con sentenza passata in giudicato, ma tutti coloro i quali di essa fanno parte a pieno titolo, in colletti bianchi o rosa". L'intervento dell'arcivescovo di Catanzaro sul giornale vaticano si intitola "I discorsi non bastano più" ed è sormontato dall'occhiello "per purificare la religiosità popolare" e muove dalla cronaca della processione di Oppido, dei detenuti mafiosi a Larino e dalla scomunica per i mafiosi decretata dal Papa il 21 giugno nella Piana di Sibari. L'arcivescovo Bertolone cita Giovanni Falcone, il magistrato assassinato nella strage di Capaci nel '92: "Entrare a far parte della mafia equivale a convertirsi a una religione". La mafia, nella analisi di mons. Bertolone, è dunque una "religione capovolta, sacralità atea" "scelta totalizzante, che pretende di trasformare e possedere l'individuo in funzione di un assoluto a cui egli deve darsi, quel potere a cui, da boss, è pervenuto, o a cui, da semplice gregario, deve obbedire. E nulla più che una inevitabile derivazione di questa visione è il fenomeno delle processioni infiltrate dalle cosche, delle confraternite piegate ai voleri dei boss, della religiosità popolare plasmata sui propri voleri: i mafiosi, indifferenti alle verità di fede, mostrano interesse per le manifestazioni religiose, strumentalizzate ai fini del riconoscimento sociale". La mafia "è una forma di paganesimo, perché colloca degli uomini nel ruolo di detentori della totalità del potere e del sapere, escludendo che possa esistere o esservi un'istanza più alta oltre se stessa". Così il monito di papa Bergoglio suggella il cammino intrapreso dalla Chiesa e chiede "un atteggiamento inderogabile: per il configurarsi la mafia come apostasia, si pongono automaticamente al di fuori della comunità cristiana non solo i mafiosi condannati con sentenza passata in giudicato, ma tutti coloro i quali di essa fanno parte a pieno titolo, in colletti bianchi o rosa". Così la vicende di Oppido, e di Larino (mafiosi detenuti che rifiutano di andare a messa) sono una occasione di cambiare. "Dinanzi a una piaga che da centocinquant'anni mortifica un Paese intero, il martirio di don Puglisi, il sacrificio nobile di tanti servitori dello Stato, di giornalisti, l'opera meritoria dei magistrati, la predicazione di tanti preti coraggiosi e zelanti, l'assicurazione alla giustizia di tanti malavitosi, - rimarca l'Osservatore romano - non sono stati sufficienti. In tale ottica si colloca l'agire delle nostre Chiese particolari: dobbiamo dimostrarci capaci di costruire modelli culturali alternativi". "Se non troviamo il coraggio di vivere il Vangelo con coerenza, - spiega l'arcivescovo - se non passiamo dalle parole ai fatti in tutti gli ambiti, vedremo la mafia radicarsi sempre più in questa nostra terra. Occorre uscire dalle sacrestie, abitare i territori; vivere da credenti e cittadini adulti e solidali; contrastare la prepotenza con la forza della denuncia e, soprattutto, con la testimonianza di una vita buona che non ha paura di andare controcorrente. Occorre un cambio di mentalità".

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