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    Sprar Calabria "Emergenza accoglienza problema non risolto"

     

     

    Sprar Calabria "Emergenza accoglienza problema non risolto"

    09 ago 11 "A chi conviene l'emergenza? Da mesi assistiamo impotenti ed indignati alla creazione dell'ennesimo contesto di emergenza creato ad arte dal governo nazionale. In seguito alle rivolte della primavera araba, Lampedusa si trasforma in una prigione a cielo aperto e lo stato d'emergenza viene sancito da un Decreto con cui si affidano tutte le competenze alla Protezione Civile, suggellando il passaggio dell' accoglienza da materia sociale a "catastrofe emergenziale". Ad affermarlo il Coordinamento Regionale Sprar Calabria Quella Protezione civile, nata per proteggere gli italiani in situazioni di emergenza è diventata negli ultimi anni un calderone di interessi finanziari che costa agli italiani due miliardi di euro all'anno. Un "sistema gelatinoso", come è stato definito dai magistrati, fatto di imprenditori disonesti e appalti truccati che non solo non riesce a far fronte alle catastrofi, ma lucra su di esse arrivando perfino a festeggiare la notizia del terremoto abruzzese! Nel caso della cosiddetta "emergenza sbarchi", quando si cerca di comprendere come la Protezione Civile stia operando, ci si accorge immediatamente che in realtà l'emergenza non è tale. Nel caso della Regione Calabria il Piano prevede l'assegnazione di 1.643 posti, di cui attivati ad oggi, da quel che risulta, meno di 500. Un numero irrisorio e facilmente gestibile, (circa 4 persone per ciascuno dei rispettivi 409 Comuni calabresi), se non fosse per i criteri scellerati che si sono invece adottati dalla Protezione Civile. La maggior parte di questi profughi, infatti, sono stati concentrati sulla costa tirrenica presso strutture alberghiere, come il caso di Amantea, dove risiedono attualmente circa 150 profughi o come nel caso di Falerna, con un centinaio di presenze e dove si è già verificata una rissa per futili motivi. Considerato che la Calabria si è dotata di una Legge Regionale ad hoc sull' accoglienza, si potrebbe tranquillamente far fronte alla situazione attuale coinvolgendo quanti più comuni possibile, proprio per evitare il rischio di tensioni sociali e per dare senso e seguito al dettato della Legge Regionale, che mira a coniugare il ripopolamento dei piccoli comuni abbandonati proprio attraverso l'accoglienza dei profughi. L'intera gestione del Piano risulta, invece, tanto complicata quanto priva di meccanismi di trasparenza: non c'è una programmazione chiara, è impossibile sapere quali siano i criteri adottati per la scelta delle strutture e come vengono selezionati i soggetti preposti all'assistenza dei migranti. L'impressione che se ne ricava, dunque, è quella di un caos organizzato in cui manca il coordinamento dei soggetti coinvolti. Sindaci, associazioni, forze dell'ordine non vengono coordinate. Anzi, spesso non sono al corrente di quanto accade. Molti sindaci sono stati sistematicamente esclusi dall'intera operazione e stesso destino è toccato allo SPRAR, una rete nazionale che da anni si occupa di accoglienza e tutela di richiedenti asilo, una rete diffusa su tutto il territorio, nei piccoli comuni come nelle grandi città, per un totale di 153 progetti territoriali. Un modello virtuoso nato durante la crisi del Kosovo e fin da subito finalizzato a gestire l'accoglienza non in maniera emergenziale ma come occasione per progettare e pianificare un sistema pubblico di accoglienza. Decentramento, ospitalità in piccoli numeri, coinvolgimento degli enti locali e dell'associazionismo, un approccio considerato un modello esemplare a livello europeo. Con il vantaggio di esperienze con forti ricadute sul piano sociale, come nel caso di Riace, riconosciuto internazionalmente come modello d' interazione ed inclusione sociale. Ebbene, nel contesto attuale lo SPRAR, con un'esperienza decennale e con grandi professionalità radicate anche a livello locale, che dovrebbe essere il perno nella gestione dell'accoglienza, è stato completamente ignorato e scavalcato, come ha denunciato la Direttrice del Servizio Centrale, Daniela Di Capua. L'aver appaltato alla Protezione Civile questa gestione, significa che si è preferito la logica dell'emergenza e non quella della progettualità. con costi decisamente più elevati rispetto a quelli dello Sprar e che coprono esclusivamente i costi dell'accoglienza e non misure volte all'orientamento e all'inclusione sociale. Le uniche iniziative in tal senso, una volta ancora, provengono dal basso e sono espressione di quella rete sociale spontanea che da sempre caratterizza questa Regione come terra di accoglienza. Ogni giorno le cronache ci raccontano di continui sbarchi a Lampedusa e di proteste all'interno di strutture come quella di Mineo o di Manduria; i CARA sono già al collasso e in questi giorni sono scoppiate rivolte sia a Bari che a Crotone. Quali sono dunque, le prospettive di un'accoglienza progettata in un'ottica emergenziale che ha guidato finora tutte le disposizioni del governo senza nessuna pianificazione di medio termine? Che ne sarà di queste persone una volta esauriti i fondi? Il vero allarme e la vera emergenza sono i risultati che questo scellerato Piano di Accoglienza sta già producendo: concentrazione di grandi numeri di profughi in contesti territoriali di piccole dimensioni e zero progettualità sul piano dell'inclusione, rischi di tensione sociale, proteste all'interno dei centri. Come realtà impegnate nel campo dell'accoglienza in Calabria chiediamo invece: che la competenza del Piano di Accoglienza passi dalla Protezione Civile alle Politiche Sociali delle Regioni; che tutti gli interventi previsti per i richiedenti asilo siano coordinati dal Servizio Centrale, anziché dalla Protezione Civile; che sia preso come modello di accoglienza, da implementare, il Sistema di Protezione dei Rifugiati e Richiedenti Asilo; che sia data concretezza ed operatività ai dettami della Legge Regionale sull'Accoglienza.

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