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Nunnari “Bisogna saper parlare e saper tacere, saper lavorare e saper soffrire”

La lavanda dei piedi di Giotto

Mons. Nunnari nell’omelia del Giovedì Santo “Bisogna saper parlare e saper tacere, saper lavorare e saper soffrire”

01 apr 10 Messa crismale del Giovedì Santo per il Vescovo di Cosenza, Mons. Salvatore Nunnari assieme a tutti i presibiteri e i laici della Diocesi nell’antico Duomo di Cosenza. Di seguito l’intera omelia che il presule cosentino ha proclamato dal pulpito:
“Ci avviamo alla conclusione dell’anno sacerdotale indetto dal Santo Padre Benedetto XVI “per promuovere l’impegno di interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti, per una più forte e incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi”.
Cari confratelli nel sacerdozio voglio oggi dare voce al Santo Padre, Benedetto XVI,  riferendomi ai tanti interventi nei quali durante quest’anno ha magistralmente precisato alcuni punti nobili del nostro essere sacerdoti di Cristo. Credo che sia di preminente importanza soffermarci sulla nostra identità sacerdotale.
“In un’epoca come la nostra così policentrica ed incline a sfumare ogni tipo di concezione identitaria, da molti ritenuta contraria alla libertà e alla democrazia, è importante avere ben chiara la peculiarità teologica del ministero ordinato per non cadere nella tentazione di ridurlo alle categorie ultime dominanti. In un contesto di diffusa secolarizzazione che esclude progressivamente Dio dalla sfera pubblica e tendenzialmente anche dalla coscienza sociale condivisa, spesso il sacerdote appare estraneo al senso comune proprio per gli aspetti fondamentali del suo ministero, come quello di essere uomo del sacro, sottratto  al mondo, costituito, in tale missione di Dio e non degli uomini” (Eb. 5,1).
E’ urgente superare pericolosi riduzioni che nel tempo, utilizzando categorie più funzionali che ontologiche, ci hanno presentati come “operatori sociali”.
Noi dobbiamo vivere nell’oggi una continuità sacerdotale che partendo da Gesù di Nazareth, Signore e Cristo, e passando attraverso i duemila anni della storia di grandezza e di santità, di cultura e di pietà che il sacerdozio ha scritto, giunga fino ai nostri giorni. La storia della nostra Chiesa registra il passaggio di sacerdoti santi e dotti che hanno edificato il nostro buon popolo, preti che hanno parlato di Dio al mondo e glielo hanno presentato con il loro tenore di vita. Questo è necessario oggi! Abbiamo bisogno di questi carismi, di queste profezie!
Nel nostro presbiterio, stiamo parlando e presentando Dio al nostro popolo ? o siamo soggetti ad effimere mode culturali, che non ci aiutano ad essere capaci di vivere autenticamente quella libertà che solo la certezza dell’appartenenza a Dio è in grado donare?
Nel convegno celebrato qualche mese fa a Roma, organizzato dalla Congregazione del Clero dal tema: “Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote” così il Santo Padre ha affermato: “La profezia più necessaria è quella della fedeltà, che partendo dalla fedeltà di Cristo all’umanità, attraverso la Chiesa ed il sacerdozio ministeriale, conduce a vivere il proprio sacerdozio nella totale adesione a Cristo e nella Chiesa” non dimentichiamoci, confratelli carissimi, che non apparteniamo più a noi stessi ma per il sigillo sacramentale ricevuto siamo “ proprietà di Dio”. E’ attraverso una limpida testimonianza che il mondo deve riconoscere il prete  come “essere di un altro”. C’è uno stile di pensare, di parlare, di giudicare i fatti del mondo di servire, di amare, di relazionarci con le persone, anche dall’ abito  evitando di passare dalla ricercatezza di abiti liturgici alla sciatteria di abiti feriali, senza alcun segno sacerdotale. Uno stile dal quale dobbiamo trarre forza profetica della nostre appartenenza sacramentale. Non è mentalità clericale ma identità e dignità sacerdotale. Non facciamoci catturare dalla mentalità dominante che tende ad associare il valore del nostro ministero non del nostro essere ma della nostra funzione, non cogliendo l’opera di Dio, che configurandoci a Lui in modo definitivo incide nell’identità profonda del nostro essere e del nostro operare. Tutto questo non deve farci dimenticare, come scriveva ai suoi preti il Cardinale Montini, che anche il cuore del Pastore ha la sua casistica. Entusiasmo, ardimento, fortezza,  pazienza, assuefazione, stanchezza, sfiducia …
Quante ore  diverse si succedono nella nostra giornata apostolica!
Saper osare al momento giusto, saper attendere; saper parlare e saper tacere, saper lavorare e saper soffrire. Sapere soprattutto che chi salva è Lui, il Signore della storia, anche della mia povera storia. E’ L’intima nostra unione con Lui che fa sintesi nella nostra vita. San Gregorio Magno, nella sua famosa Regola pastorale ci avverte della duplice vita interna ed esterna, che il Pastore di anime deve condurre, con intreccio e simultaneità, che caratterizzano la sua spiritualità e che danno la misura della sua santità, “interiorum curam in externorum occupatione non minuens”, la cura dell’interiorità non diminuisce nell’occupazione delle cose esteriori.” La profondità del mistero che stiamo celebrando ci richiama a questa esigenza prevalente dell’attività interiore. Mistero che non solo dobbiamo celebrare ma che con essi dobbiamo rimanere in comunione. E siccome con Cristo nell’eucarestia è per noi quotidiano nella Santa Messa l’esercizio dell’interiorità è dovere, è programma.
Lo sappiamo benissimo: lo stato sacerdotale comporta l’attività apostolica, ma come dice san Tommaso “tale vita presuppone l’abbondanza della contemplazione”. Molti di noi (chi non ricorda) ci siamo formati con quell’aureo  libro di meditazione “L’anima di ogni apostolato è la vita interiore” e Pio XII, di venerata memoria, riferendosi all’equilibrio dei nostri impegni sacerdotali, così scriveva : L’ardore del lavoro e la vita interiore non solo devono essere vicendevolmente coniugati, ma anche per quanto riguarda l’intenzione e la volontà, devono progredire di pari passo”.
Sta in questa mirabile sintesi il superamento delle nostre ricorrenti crisi e paurose soste nel cammino di santità. L’iso dei mezzi di comunicazione non deve mai distogliere dall’incontro adorante dinanzi al tabernacolo. Il computer, ad esempio, anche se rettamente usato non può mai sostituirsi al dialogo con Dio e all’incontro con il fratello. Se manca questo quanto poco abbiamo da comunicare con gli uomini.
I nostri santi preti che nella storia di questa Chiesa, anche recente, ha edificato il popolo di Dio, sono come il santo Curato d’Ars, i modelli impareggiabili della nostra vita sacerdotale.
In un tempo e in un’ora tanto difficile la testimonianza sacerdotale dev’essere risposta credibile alle tante attese e soprattutto ai giudizi non sempre benevoli verso la Chiesa che vive la duplice sofferenza per le colpe dei suoi figli, in particolare dei sacerdoti che si sono macchiati di così orribile delitto della pedofilia e per la volontà ostile contro di essa al punto di voler sradicare la fiducia e alla fine la fede in Cristo e la fede in Dio dal cuore degli uomini.
Il tempo presente è il teatro del grande contrasto tra tenebre e luce, e l’ultima scena sarà quella in cui “per il moltiplicarsi dell’iniquità si raffredderà la carità di molti” (Mt 24,12).
Al santo Padre la nostra filiale ed affettuosa vicinanza, il suo cuore ferito di Padre parla a noi tutti di perdono e comprensione nella verità e nella carità.
A voi fedeli laici chiedo comprensione e tanto spirito di partecipazione al dolore della Chiesa, a quello di chi ha sofferto e soffre per questi ignobili atti, ed un rinnovato impegno a edificare con la preghiera e la testimonianza di vita il nostro presbiterio.
Sono i vostri preti. Figli della vostra gente e ministri delle vostre comunità. Amate, confidate, Sperate.  Una attenzione particolare la chiedo per i nostri seminaristi, perché siano domani preti secondo il cuore di Dio.
Per concludere dirò quindi a voi carissimi confratelli che dopo aver fatto tutto come operai della Vigna, dopo avervi aggiunto le nostre preghiera, il nostro sforzo di santità, abbandoniamo il nostro cuore nella fiducia del Signore ed invochiamo il soccorso materno della Madonna, di Lei che è la Portatrice di Cristo, di Lei che ha inaugurato i miracoli del Signore a Cana di Galilea.
Ci assista Maria, la Madre dei peccatori, la regina dei sacerdoti, la Madre di tutti i Cristiani, la figura della Chiesa.
Sotto il suo patrocinio, fiduciosi nella sua bontà, riprenderemo il nostro cammino, se anche è stato finora triste e deserto il risultato del nostro ministero.
In Verbo tuo laxabo reti, alla tua parola calerò le reti.

 

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